“Siamo stati costretti a mettere dentro nove giocatori e nove sono troppi. Tante nuove teste dentro una squadra, ci vuole tempo per la giusta connessione”. Ci sarebbe da ridere se uno pensasse che questa è solo l’ennesima manifestazione di maniavantismo della carriera di Antonio Conte.
Ci sarebbe da ridere se non fosse per il fatto che la rosa corta (argomento ripescato anche nelle dichiarazioni post-PSV) era il principale alibi della stagione scorsa. E, ora che la rosa è finalmente lunga e completa, avere tanti uomini a disposizione è diventato un problema.
Soprattutto, ci sarebbe da ridere se non fosse che il Napoli, giusto quest’estate, ha messo a disposizione del mister quasi 210 milioni (tra acquisti a titolo definitivo, prestiti e riscatti) per costruire una rosa che, oggi, ha un’età media di 28,2 anni. Il Napoli, lo ha osservato qualcuno già quest’estate, ha pianificato il mercato per accontentare Conte, ma senza rinunciare alla sostenibilità economica (in un certo senso, ha iniziato a farlo da gennaio scorso). È vero.
Gestire un “instant team”
È vero, però, anche che volendo tirare le somme di un’analisi costi-benefici, bisogna chiedersi se è valsa la pena di avventurarsi in impegni economici così gravosi avendo, oggi, un forte rischio di non provare ad andare fino in fondo in tutte le competizioni. Non è cosi che si gestisce il famigerato “instant team”. I segnali che vengono dal campo e dalle dichiarazioni all’interno dello spogliatoio, infatti, sono allarmanti. Ma non è questa l’occasione per toccare questo tasto e ci torneremo a breve in un altro pezzo.
Dunque, quel che occorre sottolineare in questa sede è il fatto che le scuse acrobatiche di Antonio Conte sono la smentita continua di decisioni prese in primis da lui e che lanciano segnali alla squadra di disorientamento, di voler tirare i remi in barca in maniera repentina e ingiustificata.
Alla fine, l’anno scorso ha avuto un esito felice. Napoli-Cagliari e la cerimonia di premiazione, così come il pareggio casalingo con l’Inter o le vittorie di forza contro Atalanta e Juventus nel girone di ritorno resteranno tra le gioie più grandi che un tifoso azzurro abbia provato in vita sua. Ma è innegabile che, anche in piena corsa Scudetto, Conte abbia lanciato pubblicamente (e non solo) il segnale di tirare il morso al cavallo e invertire il senso di marcia.
Conte ora, Conte una stagione fa
Eppure, se vogliamo dirla tutta, anche la tanto vituperata rosa corta (che poi corta non era, perché semplicemente adatta alle esigenze di una squadra che gioca una sola competizione) è stata una scelta deliberata dell’allenatore azzurro. Basandosi su una strategia che è riuscito a portare a frutto con successo, Conte ha puntato tutte le sue energie sul ricostruire uno zoccolo duro di uomini su cui fare affidamento.
C’erano i senatori del terzo Scudetto: Meret, Di Lorenzo, Rrahmani, Juan Jesus, Olivera, Lobotka, Anguissa e Politano. E non era affatto scontato recuperare gran parte di loro, che erano con la testa (se non con un piede) già fuori da Napoli. E poi si sono aggiunti Lukaku e McTominay. E anche su loro ha avuto effetto la cura Conte, che è stato in grado di farli tornare a esprimere sul loro reale livello.
Non passi inosservato, però, che durante il penultimo calciomercato estivo è stato proprio l’ex CT della Nazionale a rifiutare un’offerta di 200 milioni da parte del PSG per prendere in coppia Osimhen e Kvaratskhelia. La permanenza del georgiano, infatti, è stata un’altra delle garanzie che Conte aveva chiesto alla società. Ma, evidentemente, i calcoli si sono rivelati sbagliati.
In primis perché, dinnanzi a certe offerte – a maggior ragione perché c’era di mezzo un calciatore definitivamente fuori dal progetto come Osimhen – non si può dire di no. In questo Conte ha mostrato di essere poco elastico, per paura di dover modificare in corsa i piani iniziali. E poi perché Kvara era, evidentemente, in un momento della carriera in cui avvertiva l’esigenza di dover alzare il livello (e non si può dire che il tempo non gli abbia dato subito ragione). Qui, su questo punto, non poteva esserci serial winner che tenesse.
Dunque, con 200 milioni di euro rifiutati e 150 spesi per sette giocatori, il Napoli non avrebbe mai potuto costruire una rosa con ventidue uomini pronti ad alternarsi perché, più o meno, tutti di pari livello (e, lo ribadiamo, una rosa così non sarebbe stata neanche necessaria). Se si è dovuto fare giusto pochi mesi fa, quest’estate, i “troppi” nuovi acquisti di cui parla Conte, è proprio perché Conte ha fatto una scelta chiara l’anno scorso.
I nove acquisti difficili da gestire, “le tante nuove teste da impiegare” e che necessitano di “tempo per la giusta connessione” sono una conseguenza logica (logica: non sbagliata) di un progetto che procede per step. Step che sono stati sì concordati con la società, ma che hanno come primo e fondamentale input le richieste di Conte. Se la rosa era “corta” un anno fa, e oggi invece il mister ha a che fare con tanti nuovi acquisti è perché ha deciso lui di allocare le risorse del budget in questa maniera.
Le generosità del Napoli
E poi, senza voler essere maliziosi, occorre anche ricordare che l’anno scorso Neres ha visto pochissimo campo prima dell’addio di Kvaratskhelia, che Juan Jesus, Spinazzola e Gilmour hanno iniziato a giocare solo grazie agli infortuni di Buongiorno, Olivera e Anguissa e che, invece, Rafa Marin non ha proprio trovato minutaggio, ad eccezione della partita di Monza. Eppure parliamo di un ex canterano del Real Madrid, nazionale U21 che aveva alle spalle un buon anno da titolare in Liga e che quest’anno ha già avuto un ottimo avvio col Villarreal.
C’è stata, insomma, difficoltà nell’impiegare in maniera fruttuosa le seconde linee anche nella gestione più basilare dei cambi in una partita, quando bisognava far fronte al solo campionato. Possiamo, allora, capire quante difficoltà stia incontrando Conte nel suo lavoro di integrazione dei nuovi acquisti quest’anno. Ce lo confermano chiaramente le sue dichiarazioni, che pure suonano come alibi assurdi e ingiustificabili: come accadutogli spesso in carriera, l’ex tecnico di Juve e Inter va in crisi quando deve far fronte a situazioni più complesse quali possono essere una stagione con tre competizioni o una rosa più profonda.
Un film, ahinoi, già visto tante volte con l’allenatore salentino. Solo che il Napoli ha dimostrato di essere in grado di fare, per lui, un salto di qualità. Ora tocca a lui dimostrare al club azzurro che ha capito gli errori del passato ed è pronto a portare saldamente in porto un progetto che la società gli ha cucito su misura.






