Goodbye Stranger: l’addio di Kvaratskhelia rievoca quello di Hamsik
Aspettative e realtà che non collimano, un allenatore che si ritrova a ridimensionare un calciatore simbolo: Kvaratskhelia e Conte come Hamsik e Ancelotti

C'è una dinamica interessante e complessa che si cela dietro l'apparente serenità con cui Antonio Conte ha "gestito" l'addio di Khvicha Kvaratskhelia, un talento che, solo un anno fa, sembrava destinato a diventare l'epicentro del progetto Napoli. Possiamo davvero credere che il tecnico salentino, noto per il suo temperamento esplosivo e la sua ferrea aderenza ai principi tattici, avrebbe lasciato scivolare via una risorsa così preziosa senza colpo ferire? O, più probabilmente, è proprio Conte a non aver mai percepito il georgiano come indispensabile?
Kvaratskhelia-Conte come Hamsik-Ancelotti
Quando Kvaratskhelia è arrivato a Napoli, l’immagine che lo precedeva era quella di un giocatore versatile, in grado di spezzare le difese e, all'occorrenza, garantire un discreto apporto in termini realizzativi. Tuttavia, la "disequazione" fra aspettative e realtà sembra essere stata il nodo centrale di questa vicenda. Non è la prima volta che un allenatore si ritrova a ridimensionare un calciatore simbolo: il parallelo con Marek Hamsik e Carlo Ancelotti nel 2019 è inevitabile. All'epoca, anche il capitano slovacco, leader indiscusso della squadra, non trovò spazio nello schema di Ancelotti e fu lasciato andare senza particolari drammi. Eppure, mentre Hamsik si scontrava con un Napoli in fase di transizione, Kvaratskhelia sembrava essere stato designato come cardine del progetto post-Scudetto.

Circostanze da valutare
La delusione prostrata in conferenza da Antonio Conte (specificando ancora una volta che erano volte alla sua persona, non verso il calciatore né tantomeno verso la società) potrebbe contenere più di una sfaccettatura. Anche quella di indorare la pillola. Deluso da una realtà che non aveva previsto, e cioè quello di un Kvaratskhelia non insostituibile. Tra l’altro, le recenti dichiarazioni del tecnico leccese non lasciano molto spazio all'immaginazione: "Dobbiamo migliorare in fase realizzativa e fare più gol". Con tutta probabilità, nonostante Kvaratskhelia mantenesse un profilo realizzativo simile a quello delle passate stagioni, questo non era sufficiente per l'allenatore. E le numerose sostituzioni, unite alle smorfie di disapprovazione in panchina dopo ogni occasione mancata, raccontano più di mille parole.
Una nuova stella nel firmamento azzurro
Conte, con la sua ossessione per l'efficacia e la concretezza, sembra non aver mai realmente visto in Kvaratskhelia l'interprete ideale per il suo calcio. Certo, le défaillance fisiche del georgiano hanno giocato un ruolo importante, perché hanno dato modo e spazio alla stella di Neres di brillare e - non dico offuscare - rendere meno indispensabile la presenza in campo del georgiano. Ma, a ben guardare, c'è la sensazione che il problema fosse più profondo: una questione di filosofia calcistica, di incompatibilità tattica. Per Conte, i margini di errore sono minimi, e l’efficienza offensiva è una necessità non negoziabile. Kvaratskhelia, con il suo talento istintivo ma a volte impreciso, non era in grado di garantire la continuità richiesta.
Cosa riserverà il futuro?
Questa vicenda solleva interrogativi più ampi: può un giocatore con le qualità di Kvaratskhelia essere sacrificato in nome di un'idea tattica? E, soprattutto, il Napoli di Conte, privandosi del suo gioiello georgiano, ha perso un pezzo fondamentale o ha semplicemente fatto spazio a un progetto più conforme alla visione del suo allenatore?
La risposta, forse, la vedremo sul campo. Ma una cosa è certa: Conte, con la sua determinazione a plasmare ogni squadra a sua immagine e somiglianza, potrebbe aver fatto una scelta chiara. La storia ci dirà se la scelta di separarsi da Kvaratskhelia sarà un errore o una mossa lungimirante. Per ora, rimane il rammarico per un talento che - scegliendo di andare via nel bel mezzo di una stagione in corso - avrebbe potuto dare maggiore rispetto ad una città che lo accolto da perfetto sconosciuto e idolatrato in ogni dove, anche quando le sue prestazioni non portavano a farlo.