header logo
Conte
Conte

Antonio Conte: il cacciatore di scudetti pronto all’assalto finale

La Gazzetta dello Sport si sofferma sulla figura di Antonio Conte, vicino al suo quinto scudetto italiano da allenatore.

Conte

Conte: occhio al cacciatore di scudetti

Darwin Nunez

”C’ è un signore che si aggira, da un decennio e anche di più, per gli stadi di mezza Italia, una volta se ne è andato anche in Inghilterra: professione, dicono, collezionista di scudetti. Se capita - ed è successo - anche di Premier League. E non c’è verso di saziarne l’appetito che, come si sa, vien vincendo. C’è un allenatore che ha cominciato un bel po’ di tempo fa a rivoltare i club e i loro destini, è un disegno ormai strategico, un’idea sana e gratificante: e non ci sono preclusioni logistiche e frenare questo spirito ribelle, che da Torino (quella bianconera) e Milano (quella nerazzurra), può approdare sino a Napoli. C’è un cinquantacinquenne che da quando s’è catapultato oltre la linea laterale, e l’ha smessa con quella sua vita da mediano, è entrato in un “loop” che riflette la sua natura, ossessionatamente vincente: ed ora che mancano appena 270’, quindi sette punti, tra il Genoa, il Parma e il Cagliari, tra le pieghe dei ragionamenti più ricorrenti si può persino aggiungere che l’aritmetica è un’opinione assai diffusa.

Ci pensa lui Antonio Conte, l’acchiappa-scudetti, l’ha spiegato in “gioventù” d’essere afflitto da un’amabile mania: a Bari, e ormai si parla di circa vent’anni fa, per spiegarsi al calcio a quel tempo attraverso il 4-2-4, entrò in corsa, arrivò alla salvezza e poi, di slancio, dominò in maniera schiacciante, perché stravincere aiuta a vincere. Ma in quel fisico esplosivo, dentro mascelle che quando si serrano preoccupano, in quel cervello eternamente sotto pressione e nell’espressione mai seriamente rilassata («Se pensate che alla vigilia di una gara io sia uno che ride a scherza, vi siete sbagliati... io avverto la tensione...») spuntano sempre nuove tentazioni, per rimettersi in gioco e ripartire.

 Il metodo-Conte nasce e decolla a Torino ma a Napoli, a tre lustri di distanza, sta trovando la sua completa esaltazione: quando Madame lo chiamò, estate 2011, tra le rovine e la polvere d’una società nella quale l’unica cosa che conta si sa bene quale sia, ma aveva spuntato solo un settimo posto, un affronto al casato. E Conte mise in fila tre scudetti di fila (84, 87 e 102 punti), prima di congedarsi salutando con fragore, mentre s’udiva il rumore della saracinesca d’un ristorante. Napoli è più vicina alla sua escalation milanese, nell’Inter che Spalletti gli lasciò in Champions e che, dopo un secondo posto, Conte portò allo scudetto, una fuga solitaria (+12 punti sul Milan): ma stavolta, a distanza di quattro anni, ha trovato una squadra demolita nell’anima - forse anche nel corpo - e comunque una decina di protagonisti del capolavoro di 737 giorni fa, a gennaio orfani però di Kvaratskhelia, roba da rovinarsi il fegato. «Ci sono cose che a Napoli non si possono fare». Eppure, ci sta riuscendo (ma lui voleva dire altro, ovvio).

 In questo finale rivoluzionario, con Conte è vietato divagare o rifugiarsi nella leggerezza: le sue partite sono immersioni in una centrifuga che s’avvia con largo anticipo rispetto al fischio d’inizio e non conviene fargli sapere, non adesso, che stavolta, rispetto al recentissimo passato, se dovesse succedere, il bus scoperto attraverserebbe il lungomare della città. Mentre lui, ora, vorrebbe starsene su un’isola (non necessariamente Capri...)”.


💬 Commenti