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Conte in panchina
Conte all'esordio in campionato

Viviamo nell’era dell’iperconnessione, dove il tempo per riflettere sembra un lusso e la complessità è percepita come una scomodità. In questo contesto, il sentenzialismo è diventato il protagonista indiscusso del nostro discorso pubblico: una tendenza a semplificare, ridurre e cristallizzare le opinioni in frasi lapidarie e assolute. È una dinamica che permea i social media, i talk show, ma anche le conversazioni quotidiane. Ma cosa si cela dietro questa abitudine, e perché possiamo definirla nociva?

Antonio Conte e l’illusione della certezza

Il sentenzialismo infonde certezze. Un esempio? Antonio Conte, dopo la travagliata stagione post scudetto, viene accolto favorevolmente come rifondatore ma se le sue ideologie strutturali cozzano con il pensiero ‘popolar comune’ , gli amplessi si tramutano in problematiche complesse, trasformando argomenti articolati in slogan. Questo atteggiamento è rassicurante per chi lo adotta, perché elimina l’ambiguità e l’incertezza. Analisi e sfumature dettate dal sentenzialismo ci spingono a credere che basti un’opinione - meglio se formulata in modo perentorio e condivisa con fermezza - per risolverle o comprenderle.

Conte in conferenza
Antonio Conte

Conte e la cultura del giudizio

Conte non cerca l’estetica, cerca l’efficacia. Non è un visionario alla Guardiola, né un artista alla Klopp; è un pragmatico, un artigiano del calcio che costruisce le sue squadre come un architetto militare, con uno schema preciso e ruoli definiti. E qui emerge il nodo della questione: il calcio contemporaneo, sempre più attratto dalla spettacolarità e dalla creatività, sembra faticare a rispettare l’ideologia di Conte.

Le sue squadre sono spesso accusate di essere “prevedibili” o “difensive”, ma la realtà racconta altro. Conte ha vinto in Italia, in Inghilterra e ha portato l’Inter a un tricolore atteso più di un decennio. Eppure, quando le cose iniziano a scricchiolare, i critici dimenticano i successi e puntano il dito contro il suo stile. È un paradosso: chi prima lo osanna per la sua capacità di ricostruire, poi lo critica per non adattarsi ai canoni estetici del momento.

Superficialità e perdita del pensiero critico

C’è un problema culturale alla base? Non voglio risultare uno della categoria ma, soprattutto in Italia, si tende troppo spesso a glorificare l’allenatore che vince solo se lo fa "giocando bene", dove "bene" è un concetto soggettivo e spesso in conflitto con la realtà del campo. Il sentenzialismo non è solo un problema di contenuti, ma di metodo. Insegna a pensare in modo superficiale, a ignorare il contesto e a premiare l’immediatezza rispetto alla profondità. Questo è particolarmente pericoloso in un’epoca in cui le informazioni sono di sicuro sovrabbondanti ma spesso decontestualizzate. Il rischio è quello di formare generazioni incapaci di affrontare la complessità, vittime di una cultura che premia chi grida più forte e non chi argomenta meglio.

Per contrastare il sentenzialismo, dovremmo riscoprire il valore del dubbio. Questo significa educare al pensiero critico, alla capacità di analizzare le informazioni da diverse prospettive e di sospendere il giudizio quando necessario. Vale a dire anche proiettarsi al dialogo, non come scontro tra sentenze, ma come ricerca condivisa della verità.

Conte non è solo un allenatore: è un leader carismatico, un motivatore che pretende il massimo da tutti, compreso sé stesso. La sua figura è spesso associata al concetto di "rifondazione", quella capacità di ridare identità a squadre che l’hanno persa. È successo alla Juventus post-Calciopoli, all’Italia uscita ridimensionata dal Mondiale 2014, al Chelsea e all’Inter. Ma dietro a questa narrativa c’è qualcosa che il calcio moderno - ma soprattutto chi ne auspica la singola dote del paradisiaco dogma del continuo controllo del pallone - fatica ad accettare: il suo stile di gioco, rigido ma efficace, che predilige l'organizzazione maniacale e l'esecuzione perfetta alle individualità o alla spettacolarità. 

Forse è il calcio moderno a non essere pronto per Antonio Conte, o forse è Conte a non essere disposto a cambiare per il calcio moderno. Quel che è certo è che, nel bene e nel male, la sua filosofia lascia un segno indelebile ovunque passi. E forse è proprio questo il problema: il calcio di oggi non cerca chi lascia un segno, ma chi si adatta al vento che soffia.

 


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