Il Napoli post Scudetto è riuscito nella mirabolante impresa di dare torto a tutti: ottimisti e sfacisti.

Non ha avuto ragione chi, ingenuo come un bambino a Natale e obnubilato dal trionfo insperato, credeva che la conferma in toto della rosa (escluso Kim) volesse dire garanzia di continuità a prescindere dall'addio di Luciano Spalletti.

E non ha avuto ragione neanche chi considerava il conservatorismo estivo del club in sede di mercato, figlio della megalomania manifesta del presidente Aurelio De Laurentiis, presagio di sventura inteso come stagione che avrebbe visto il Napoli essere al massimo fuori dai giochi scudetto prima del previsto.

Anche al più estremo contestatore afflitto da pessimismo cronico non è riuscito di prevedere la mediocrità tecnica e umana di questa stagione.

Nella disperazione generale del momento è ovvio che a salire sul carro del fallimento siano i catastrofisti. Non certo chi per anni - almeno 19 su 20 - ha guardato alla gestione De Laurentiis con fiducia e sano ottimismo, condividendone logiche e prospettive tecnico-economiche.

A ognuno le sue (decisamente magre) consolazioni.

I numeri non mentono mai: freddi e inesorabili

Il Napoli quest'anno è stato capace di produrre una performance che fa registrare una proiezione di 58 miseri punti. Ben 32 in meno rispetto a quelli dello scorso anno e 20 in meno rispetto alla media punti azzurra degli ultimi 10 anni di Serie A.

Il rendimento in trasferta è da quarta in classifica dietro Inter, Milan e Juventus (26 punti) mentre quello casalingo da decima forza del campionato (23 punti). Fotografia di un'annata per certi versi surreale. Il Maradona non è mai stato fortino inespugnabile, anzi.

I peggiori psicodrammi sportivi sono stati compiuti proprio tra le mura amiche. Ma i punti persi in questo campionato, a Fuorigrotta, sono irragionevolmente troppi. Talmente tanti che ne bastava la metà per andare in Champions con la sigaretta in bocca.

Ad aggravare il momento ci pensano i tabellini del week end appena trascorso. Sembra siano stati scritti a tavolino per rendere il pareggio di Napoli Forsinone un risultato ancora non definitivo per la rincorsa europea. Un'agonia destinata a durare ancora per qualche settimana, a meno che i nostri eroi non decidano di chiudere definitivamente i discorsi e il cerchio proprio con l'Empoli, ultima squadra affrontata da Rudi Garcia prima di pagare per tutti.

In tanta confusione almeno un barlume di lucidità

Che errore silurare il francese (per Mazzarri poi...) nel tentativo disperato di accomodare emotivamente il gruppo squadra. Errore ben più grave dell'avere ingaggiato l'ex Roma in estate. Roba da polli. Da chi crede alle favole. Un messaggio di debolezza che ha dato ulteriore rinforzo negativo a calciatori ancora in preda alla sindrome d'abbandono dopo l'addio di Spalletti.

Fortunatamente, però, un barlume di lucidità in chi governa il club c'è stato ed è arrivato proprio durante il mercato di gennaio. De Laurentiis non è caduto nella tentazione di provare la giocata di portafoglio (bisogna ammettere che è una skill non frequente nel suo bagaglio tecnico).

Ha preferito passare la mano e siamo sicuri non si sia trattato di una scelta figlia di un travaglio interiore eccessivo. Investire tanto a gennaio sarebbe equivalso a bruciare capitali utili per la ripartenza che, presumibilmente, avverrà solo dopo aver scelto un tecnico in cui credere e al quale sottoporre un contratto lungo, solido. E non a tempo determinato come quelli di Garcia, Mazzarri e Calzona.

Il nuovo corso riparte da basi più solide rispetto alla crisi del 2019

Il Napoli aveva individuato l'estate 2024 come finestra utile per ripartire con un nuovo progetto tecnico. E ora non ha più alibi. Si è giocato miseramente tutti i pochi jolly fiduciari che la piazza ha concesso fino alla scelta di Rudi Garcia (crocifisso dal giorno 0).

Vietato fallire. Anche perché lo scenario globale, rispetto alla prima vera crisi del 2019, è decisamente migliore. In pancia ci sono abbastanza soldi e altri ne arriveranno dalla cessione di Osimhen. Occorre spenderli bene, non necessariamente tanti.

Occorre ritrovare la propria natura che coincide con l’individuazione di risorse giovani, forti e in rampa di lancio. Discorso che deve valere per calciatori, dirigenti e allenatore. Qualunque altra strategia sarà un surrogato della felicità. L’usato garantito nel calcio non esiste. E, per un club che opera a margine d’errore zero, può diventare fatale percorrere certe strade apparentemente sicure, la soglia d’attenzione si abbassa e si rischia la pelle.

https://www.youtube.com/watch?v=DiL-lvrlkdY&t=1s
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