Bigon ricorda Napoli: “Ha occupato un posto speciale nel mio cuore”
Alberto Bigon, allenatore dei tempi di Maradona, ricorda la città di Napoli

Alberto Bigon, allenatore del secondo scudetto azzurro, ricorda la città di Napoli
Alberto Bigon, ex allenatore del Napoli scudettato, ha rilasciato un’intervista alla Gazzetta dello Sport dove ha affrontato vari temi.
Già. Nereo Rocco la chiamava el dotor . Perché?
«Per via del detto: venessiani gran signori, padovani gran dotori, veronesi tuti mati, vicentini magnagati ».
Lei faceva il liceo classico e voleva diventare medico…
«Sì, mi sarebbe piaciuto, ma a 17 anni ho esordito in serie B con il Padova e il calcio mi ha subito risucchiato. Con Rocco il feeling era cominciato nel 1960, quando avevo tredici anni e giocavo nel Padova. Allora noi ragazzini intrattenevamo il pubblico prima della partita di Serie A, divisi in due squadre: bianchi contro rossi. Un giorno il Paron convoca me e altri due attaccanti negli spogliatoi e dice: “Girateve che ve dago una peada nel cul” . Era arrabbiato perché vincevamo sempre noi bianchi. “Dai, fioi , devono vincere anche loro”. Un uomo di straordinaria umanità».
Bigon nel Milan gioca con Rivera.
«Dieci anni, compagni in campo, amici fuori. C’era feeling, ci si capiva al volo. Eravamo vicini anche di casa, io in via Washington, lui dalle parti di San Siro. Rivera è stato il più grande giocatore italiano».
In coppia con Rivera arriva allo scudetto della stella. Poi Liedholm le dice: “Adesso fai il libero”. Giusto?
«Sì, ero centravanti, falso nueve . Ma il ruolo di libero mi piaceva, ero pronto, e invece proprio in quei giorni, e diciamo per fortuna, è nato il fenomeno».
Franco Baresi?
«Certo, il meraviglioso Piscinin , giocatore di un altro livello».
La vita e la carriera di Alberto Bigon si incrociano con il destino dei grandi talenti.
«Incredibili coincidenze. Quando lascio il Milan, parte Baresi. Quando smetto a Vicenza, nel 1984, nasce Roberto Baggio».
Come ricorda il Codino?
«Un giorno ce lo presentano: “Questo è Roberto Baggio e da oggi si allenerà con la prima squadra”. “Sempre?”, chiedo. “Da oggi”, dice il direttore sportivo. “E cosa fa? Lascia la scuola?”. “Sì”. “Ma dai, i ragazzini mandateli a scuola...”. Poi, quando ho visto come giocava, ho capito che forse era giusto così. Mi aveva chiamato la Lazio per sapere com’era el bocia . Ho risposto: “Un fenomeno, prendetelo subito”. “Ma sono fuori di testa a Vicenza? Vogliono cinquecento milioni di lire!”. L’avevano considerata una cifra spropositata, scandalosa. “Ma ne vale molti di più”, dissi. Lo prese la Fiorentina».
Altri incroci. Bigon gioca con Rivera e allena Maradona. Com’era la vita ai tempi di Dieguito?
«Quel Napoli era uno squadrone e Maradona il migliore del mondo. Quando veniva all’allenamento era eccezionale. Il problema era solo quando. Nel periodo iniziale agli allenamenti non si faceva vedere. Eppure anche quello è stato, con il suo finale polemico e travolgente, un anno felice. Quello dopo no, quello è stato tragico».
C’era un grande Ciro Ferrara. Si diceva che fosse l’anima napoletana del gruppo. È così?
«Ferrara portava in campo la sua giovane saggezza e la sua grande tranquillità, un giocatore esemplare. La fascia l’aveva Maradona, ma il vero capitano dello scudetto era Ciro».
Uno scudetto avvelenato dalle polemiche…
«L’ avremmo vinto lo stesso, con un punto di vantaggio, anche senza la vittoria a tavolino di Bergamo contro l’Atalanta, visto come è poi andata a Verona per il Milan. Non abbiamo rubato niente. La monetina su Alemao? Allora c’erano delle regole che potevamo non condividere, ma c’erano e dovevamo rispettarle».

Cosa le è rimasto del Napoli e di Napoli?
«Sono rossonero per Nereo Rocco. Quando lui è passato dal Padova al Milan io sono diventato suo tifoso. Poi nel Milan ci ho giocato e vinto. Il Napoli, però, occupa un posto particolare nel mio cuore. Certo, perché ho allenato e vinto e vissuto bene, ma anche per mio figlio Riccardo che ci ha lavorato come direttore sportivo, ingaggiando giocatori importanti come Cavani, Reina, Callejon, Koulibaly, Albiol, Jorginho e Ghoulam. Fino a Higuain».
Riccardo adesso è direttore globale del City Football Group. Non male, no?
«Vive in Inghilterra, a Manchester, è al vertice di una struttura importante. Dodici squadre che orbitano nella galassia, dal Manchester City al Palermo. Molto bene, lui ama e vive di calcio. Come me».
E adesso come vive Albertino Bigon?
«Poco golf, ho rallentato. Quest’ inverno sono rimasto al caldo, un’uscita ogni tanto. Vivo bene, un po’ di tv, un’occhiata ai giornali, sono tranquillo. Penso ai miei tre figli e ai miei sette nipoti e fra poco potrebbero arrivare i pronipoti. La mia vita è stata piena di emozioni e certezze. Sono stato fortunato. Ho giocato, ho vinto. Ho incontrato gli amici e i maestri giusti al momento giusto. A Foggia c’era Tommaso Maestrelli che mi ha insegnato il calcio e la vita. Al Milan, oltre all’immenso Nereo Rocco, c’era Nils Liedholm, esteta del calcio. Il calcio dolce che è sempre piaciuto a me».