Non è finita finché non è finita. E non è ancora finita, il Napoli è ancora primo
Chi punta il dito contro Conte o cerca il colpevole nell’ennesimo stop di Lobotka o in un’incertezza di Meret, finge di non vedere l’unica verità che conta: questa squadra è ancora lì, attaccata al sogno, contro ogni pronostico.

C’è un momento, nel calcio come nella vita, in cui bisogna smettere di cercare risposte facili a domande complesse. Il Napoli è arrivato a due tappe dal traguardo scudetto dopo una stagione logorante, in bilico tra rinascita e ricaduta. E chi oggi, con il senno di poi, punta il dito contro Conte o cerca il colpevole nell’ennesimo stop di Lobotka o in un’incertezza di Meret, finge di non vedere l’unica verità che conta: questa squadra è ancora lì, attaccata al sogno, contro ogni pronostico, e - aggiungerei - nonostante tutto.
Quando sembrava finita
Il girone di ritorno è stato sicuramente segnato dai pareggi subiti nei minuti finali di gara da Angelino e Dia, la squadra ha perso brillantezza, smalto, quel coraggio spavaldo che l’aveva portata a graffiare. La continuità agonistica imperterrita per 90 minuti, la sfrontatezza, la ricerca del rischio nelle giocate, questa squadra l’ha sicuramente smarrita. Per la troppa pressione? Mancanza di personalità di alcuni elementi? Perché sul colpo di testa di Ahanor, autore il primo gol del Genoa, Meret non ha attaccato in maniera perentoria il pallone, o perché Billing ha limitato la marcatura di Olivera su Vazquez consentendo al Genoa di stabilire il punteggio sul 2 pari. Perché? Per lo stesso motivo per cui questa squadra è riuscita a garantirsi di contendere il titolo fino alla 38ª giornata contro una rivale che negli ultimi 4 anni è riuscita ad accumulare: 2 finali di Champions League, 1 scudetto cucito sulla propria maglia e 1 scudetto perso sul fotofinish; e vale a dire la compattezza di un gruppo che nonostante avesse una qualità inferiore agli avversari si è aggrappato alle proprie risorse con le unghie e con i denti oltre i suoi limiti. E lo ha fatto con ostinazione e fatica, non per grazia divina.
La verità è molto più semplice e quindi, paradossalmente, meno accettabile: il Napoli ha dato ciò che poteva dare. Non un grammo di meno. E a chi oggi batte i pugni cercando colpevoli per ogni gol subito o ogni cambio sbagliato, va ricordato che questa stessa squadra ha vinto partite di misura - e talvolta non del tutto meritate - trovando il gol all’ultimo respiro, lottando nonostante sembrasse tutto perduto.

Conte ha anche le sue colpe?
Partendo dal presupposto che nessuno è infallibile e che ci sono decisioni che - durante l’arco di un’intera stagione - possono risultare opinabili: ma davvero stiamo mettendo sul banco degli imputati Antonio Conte? Un allenatore che ha nel suo curriculum molteplici successi in Italia e alll’estero - e che ha rivitalizzato un gruppo che era totalmente allo sbando riportandolo agli onori della cronaca - davvero lo vogliamo mettere in discussione?
Il motivo? Nonostante i recenti infortuni ha rischiato Buongiorno e Lobotka con il rischio di una recidiva? Entrando nel merito della contestazione, le rassicurazioni sull’integrità fisica di un calciatore sono redatte e certificate dallo staff sanitario, dopodiché gli stessi atleti in oggetto sono valutati dal comparto fisioterapico per valutare la congrua condotta e condizione atletica. Se entrambe le valutazioni ricevono un placet di assenso toccherà alla gestione tecnica valutarne le condizioni.
Oggi, per intenderci, si sta mettendo in dubbio le competenze di un allenatore vincente come Antonio Conte che visiona e valuta il comparto squadra 6 giorni su 7 ma che, come passa il commentario da convento, sarebbe risultato sprovveduto nell’utilizzarli precocemente e che il rischio non è stato correttamente calcolato, magari perché i vari Marin, Gilmour e compagnia cantante non riscuotevano la necessaria fiducia per scendere in campo.
E allora poniamocelo il quesito, in tutta franchezza: tutta questa garanzia della gestione della gara dei cosiddetti subalterni citati poc’anzi è stata avvertita? Non ci si basa su una valutazione complessiva, ma riferita a questo preciso periodo della stagione, per cui la personalità, l’esperienza e la capacità di saper analizzare le varie sfaccettature di una gara prevalgono - non di poco - sulla qualità tecnica ed oggettiva di un calciatore.
Marin di sicuro ha giocato pochissimo ma le sue caratteristiche si sposano ben poco con le ideologie del tecnico leccese; Gilmour, che è di sicuro un calciatore di valore, con la prestazione offerta contro il Genoa ha sicuramente spiegato ai tanti perché Lobotka resta un calciatore imprescindibile. Per intuizione, per gestione, sicurezza in tutti i reparti di competenza (sì, anche in quello difensivo - ndr).
Quantomeno, e ripeto nel sottolineare quantomeno, in questo preciso - e delicato - periodo della stagione.
Sì, il rischio c’era. Ma è il rischio che ti prendi se vuoi vincere. Conte non è un incantatore. È un costruttore. E il Napoli, pur tra mille difficoltà, è ancora lì, a costruire. A sperare. A provarci.
Che Napoli si compatti, questa squadra è ancora prima: non è ancora finita
Lasciamo da parte i processi sommari. Non è tempo di perizie. È tempo di fede calcistica, quella vera, quella che ti fa credere - e sperare - anche quando i numeri non sorridono e quando le gambe tremano.
Non è finita finché non è finita. E non è ancora finita. Non si può smettere di crederci proprio adesso.