Altro che episodi, questo è un Napoli solido e consapevole
Per anni il Napoli ha costruito la propria identità sul rapporto di causalità espressione di gioco – risultati. Oggi ha ribaltato completamente questo binomio. È la prestazione ad essere funzione del risultato
Il DNA del Napoli è cambiato, molto più di quanto un dibattito, spesso sterile, ma non privo di spunti interessanti, racconti: perché, scavallato il primo terzo del campionato, il Napoli guida ancora la classifica, in barba a quanti ne preconizzassero un inevitabile crollo.
D’altronde, di narrazione fatalista, intra ed extra m enia, ne abbiamo un’antologia da Reader’s Digest: sembrano ancora echeggiare negli androni dei ricordi le infauste previsioni di crollo dopo la fatidica sosta del mondiale in Qatar. O, tristemente, le parole decennali sul ritorno delle milanesi, vero spauracchio degli anni in cui ci affacciavamo alla zona Champions.
Percorsi e previsioni
Insomma, calendari facili e previsioni nefaste sono il pane quotidiano del racconto intorno al Napoli. E non è tanto questione di giusto o sbagliato, di profondità di analisi o superficialità della stessa; è un riflesso condizionato che Troisi aveva colto benissimo ed incastonato nell’iconico ‘Ricordati che devi morire – ‘Sì, sì, mo me lo segno’.
Trova terreno fertile anche quando viene generato da fuori, per gettare nel panico un ambiente appunto suggestionabile con lo spettro del periodo no; mancano proprio gli anticorpi al pensiero negativo.
Ma questo è un altro discorso. Marginale rispetto al fatto di questo inizio stagionale.
Un progetto rifondato e da perseguire
Il Napoli oggi è la squadra più continua della Serie A e guida la classifica avendo dato sfoggio di due qualità che spesso sono ostate tralasciate a queste latitudini: una incredibile solidità difensiva e una resilienza psico-attitudinale che proietta la squadra sempre sulle frequenze giuste, necessarie a raggiungere l’obiettivo prefissato.
Ha imparato a giocare le partite in funzione dell’avversario. È andata a Torino per non perdere, e non ha perso. A Milano con l’Inter, e non ha perso. Perché ha riconosciuto nelle due le avversarie più temibili per i comuni obiettivi di vertice.
E poi ha vinto con merito con Milan e Roma, e prima ancora col Bologna. Certificando di meritare non tanto i galloni del favorito per lo Scudetto, ma la assoluta legittimità della propria candidatura.
Rrahmani, tornato pilastro della squadra, ci ha raccontato meglio di tutti la mutazione genetica degli azzurri; è un Napoli consapevole di poter fare male agli avversari. E che, allora, gestisce le partite in funzione del fatto che non potrà mai perderla dal punto di vista tattico.
Ecco perché contro gli avversari di levatura inferiore non ha mai giocato un calcio sfavillante; ed ecco perché, tranne che con l’Atalanta – per cui varrebbe un discorso a sé stante, è contro le big che il Napoli ha offerto prestazioni più convincenti.
Per anni il Napoli ha costruito la propria identità sul rapporto di causalità espressione di gioco – risultati. Oggi ha ribaltato completamente questo binomio. È la prestazione ad essere funzione del risultato; muta a seconda delle fasi di gara, anche in maniera sfacciata, alternando fasi di pressione e intensità a momenti in cui è difficile cogliere il limite tra volontà di addormentare la gara ed un’apnea indotta.
È, perciò, naturale che, sia pure per abitudine ad un approccio intimamente opposto, ci sia quel filino di sconcerto in una parte di osservatori. È cambiato il paradigma ma, ed è questa la tesi di chi scrive, non per sottrazione; il Napoli sembra conoscere la chimica delle partite.
Sembra in grado, cioè, di recepire le informazioni necessarie a decodificare gli avversari: perciò, è vero, non schiaccia gli avversari, ma ne mina le certezze. Questo perché ha costruito le proprie certezze sulla solidità difensiva, l’unica prerogativa per potersi pensare competitivi da subito, dopo l’anno scorso e l’assoluta disabitudine a tenere alta l’attenzione.
E poi, producendo il giusto, realizza – poco, è vero, per potersi pensare al livello di Atalanta e Inter – sulle debolezze strutturali delle squadre che incontra: il gol contro la Roma, ad esempio, è tecnica e tattica individuale e collettiva, che coglie l’indecisione nell’assetto appena mutato della linea difensiva e punisce.
Conte, più che di quelli del solo condottiero, si è appropriato dei panni dell’alchimista: modellare il Napoli e cambiarne l’anima, forse addirittura corromperla a culti, il risultatismo, da sempre osteggiati a queste latitudini, ha il sapore del percorso iniziatico. E perciò spaventa, provoca irrigidimento e finanche sconcerto e giudizi divergenti.
Questioni di chimica, di sensazioni e soprattutto di campo. Intanto, siamo là. E l’idea di vivere questa stagione come una missione mi fa sentire vivo.