Il Napoli di Conte: prodigio o pura programmazione?

Ci risiamo. Dopo soli due anni, ci risiamo. Ma usciamo dalla narrazione del miracolo e del prodigio.
Il Napoli di De Laurentiis è una realtà consolidata nel contesto italiano ed internazionale. Solo la stampa del Paese fa finta di non accorgersene, prediligendo la diffusione di notizie per numero di potenziali click.
Prodigio o programmazione?
Usciamo dal concetto di miracolo, dicevamo. Sì, determiniamone un'evaporazione a fuoco potente. Non fa bene all'ambiente, al mister, alla corretta divulgazione delle cose.
Così come non sarà opportuno dirlo a ridosso dei giorni di lutto per la morte del papa, ma i miracoli lasciamoli all'ultraterra e alle canzoni. La laicità dello sport in particolare, è illuminata da sacrifici, programmazione, scelte giuste, talento preservato.
Il miracolo però fa comodo. Serve a chi lo osserva da antagonista, per giustificare la propria performance. Lo usa anche chi lo vive in prima persona, per esaltare responsabilità ed operato. Dimenticando che i "miracoli" sono sì incanti, ma derivati da stralci di realtà, di vero.
Perché, quindi, dare del "prodigio" all'eventuale scudetto? Sarebbe, di contro, il finale di un uso perfetto dei mezzi a disposizione. Quello sì.
La sera dei miracoli
Lucio Dalla descriveva umanità e quotidianità ne "La sera dei miracoli", un capolavoro mascherato da inno rivolto a Roma. I Queen invece, nella loro "The Miracle", parlavano di speranza (di pace) e configuravano quali miracolose le opere dell'uomo, come il Golden Gate Bridge o il Taj Mahal. Ecco, in entrambi i casi i miracoli sono imtesi alla stregua di una proiezione della vita vissuta e delle capacità umane, non di certo visti come una cascata spirituale di azioni surreali.
Torniamo allora a noi, all'incipit. Ci risiamo. Tutto vero, costruito, pensato, storico. Nessuna mano divina. Il Napoli è una società che si muove e respira osservando il contesto. Assume uomini adatti, non santi. E "riesce", comunque vada in questa stagione, perché è la ragione a vincere. Ma ora che ci penso, forse questo è un piccolo miracolo.