Antonio Conte e il miraggio del "miracolo" napoletano
Il miracolo? Vedere Napoli capace di accettare l’avvenuta resilienza senza il peso delle proprie esagerazioni.

Quella che ormai sta volgendo al termine sarà ricordata come la stagione delle prese di posizione e dei processi alle intenzioni. Non tanto per quanto si è succeduto sul rettangolo di gioco - sulle prestazioni dei singoli, la dedizione mostrata per questa maglia, o delle metodiche di gioco del nuovo tecnico - ma per il teatrino che si è acceso attorno a una domanda tanto assurda quanto rivelatrice: il lavoro di Antonio Conte a Napoli è stato o no un miracolo?
Una domanda che, in qualunque altra piazza, sarebbe parsa una provocazione da baretti, ma a Napoli, si sa, il paradosso è spesso regola più che eccezione.
La Corte dei Cont(e)i
È curioso - e persino un po' patetico - vedere come certa stampa e una fetta non irrilevante di tifoseria cavalchino il vento del momento, pronti a cambiare rotta come banderuole impazzite. Non importa analizzare davvero cosa sia successo. Non conta valutare il contesto, la squadra ereditata, la tensione ambientale, il caos societario. No: quello che conta è diventare protagonisti, strappare un titolo di giornale, accaparrarsi qualche "like" in più su un social o rubare la scena durante una conferenza stampa.
Ma facciamola semplice: il vero miracolo a Napoli è stato vincere lo Scudetto due anni fa. E quel miracolo aveva il volto di Spalletti e la complicità di un gruppo in stato di grazia, di un popolo in estasi, di una città finalmente in pace con sé stessa.
Pensare che, dopo quella impresa epocale, bastasse un Conte qualunque per mettere tutti d’accordo, è stata una gigantesca illusione collettiva. Una piazza che si immagina imperiale, ma che resta visceralmente legata a dinamiche di caos, isteria e auto-sabotaggio.
Il miracolo da cento punti e quello da cinquanta (cit.)
Antonio Conte ha fatto il suo? Questo miracolo lo ha fatto o no? Beh, a me sembra che per larghi tratti ha anche messo più ordine di quanto fosse lecito aspettarsi. Ha ridato un'identità, ha portato disciplina, ha provato a rimettere in carreggiata un gruppo confuso. Sarà bastato per allineare i satelliti della polemica stupida e saccente? Della spasmodica ricerca della contestazione ai danni di Antonio Conte? Addossargli le colpe dei molteplici infortuni subiti per, a loro parere, non aver dato minutaggio sufficiente a calciatori come Okafor, Billing e Gilmour? Ribadire il concetto che i primi due sono arrivati a Napoli a gennaio - chi per infortuni e chi per la poca considerazione - con una sola partita giocata e che il calciatore scozzese - ottimo elemento, per carità (ndr) - ricopra lo stesso ruolo del titolare Lobotka, è diventato ormai una spiacevole routine per chi ha occhi e bocca solo per sputare fuoco.

Il miracolo? Semmai, sarebbe stato il contrario: vedere Napoli diventare "normale", capace di accettare l’avvenuta resilienza senza sfaldarsi sotto il peso delle proprie esagerazioni.
Ma Napoli non è una città normale. È la sua dannazione e la sua bellezza. E quindi eccoci qui, a discutere se il lavoro di Conte sia stato o no un miracolo, mentre il vero miracolo del comune intento - quello vero - si è consumato e dissolto nell'arco di una sola - probabilmente irripetibile - stagione.
Chi oggi urla controvento, che sia in tv, alla radio o su Instagram, non cerca risposte. Cerca solo applausi. E forse anche questo, nel suo piccolo, è un altro miracolo: la capacità tutta napoletana di trasformare ogni cosa in uno spettacolo.