La vittoria di misura in terra tedesca ha scatenato un feroce dibattito tra i tifosi. Due gli schieramenti: i risultatisti contro i giochisti. I primi, pur ammettendo una prestazione poco spettacolare, si sforzano di guardare il bicchiere mezzo pieno. Una vittoria in Champions è sempre una vittoria in Champions. La squadra ha mostrato carattere, non si è disunita, ha subito poco o niente e, nell’unica occasione degna di nota, si è mostrata cinica e concreta.

Diametralmente opposto il pensiero della seconda categoria. Critiche feroci per una prestazione scialba, per una partita noiosa al limite del soporifero, lontana anni luce dalla grande bellezza dell’anno scorso.

Social e chat di WhatsApp erano particolarmente incandescenti l'altra sera:

“Vi siete imborghesiti! Dove sta scritto che dobbiamo vincere sempre 4 a 0 dominando?”, dicevano i primi.

“L’Union è una squadretta e noi non riusciamo a fare tre passaggi di fila!”, rispondevano seccati i secondi.

Molto spesso la discussione aizzava gli animi e andava a finire con l’inevitabile confronto con il Napoli di Spalletti.

“Basta! Ci siamo abituati troppo bene. L’anno scorso è stato irripetibile. Quella grande bellezza non tornerà più”, dicevano primi.

“Eppure ci deve essere una via di mezzo tra la grande bellezza e sto schifo che siamo costretti a sorbirci!”, ribattevano i secondi.

Senza entrare nel merito di chi abbia ragione (personalmente mi sento più affine alla seconda categoria), probabilmente, per andare all’origine della diatriba, dobbiamo fare un passo indietro.

La scelta di Garcia da parte di De Laurentiis

“Ripartiremo dal 4 3 3”, annunciò trionfale il patron alla stampa.

Come se quello schema non avesse diverse chiavi di interpretazioni. Come se bastasse schierare la formazione iniziale, tipo a Fifa, per avere garantito lo stesso risultato.

Ma la carriera di Rudi Garcia parla chiaro. Il tecnico francese ha sempre proposto un gioco abbastanza elementare. Un calcio verticale, più da ripartenza veloce (pochi tocchi a smistare il pallone verso le ali) che da possesso palla.  Un calcio fisico, con l’idea di dare compattezza alla difesa ed esaltare le giocate individuali dei singoli. Un calcio in fondo semplice: dentro un attaccante se si sta perdendo, dentro un difensore quando si sta vincendo. Un calcio che fa abbassare la squadra a difendere con i denti lo striminzito vantaggio. Tutti dietro la palla e spazzate alla viva il parroco

Un calcio che, in passato, ha fatto la fortuna di tante squadre. Con il vecchio catenaccio e contropiede il Milan di Nereo Rocco e l’Inter del mago Herrera sono saliti sul tetto d’Europa. Ma erano gli anni 60. L’Italia di Bearzot ha vinto i mondiali. Ma erano gli anni 80. L’Inter di Mourinho ha vinto il Triplete. Ma sono passati tredici anni.

Un calcio che si può paragonare oggi a quello di Allegri e lo stesso Mourinho. Un calcio poco spettacolare ma spesso redditizio.

Un calcio che, però, appare vecchio, obsoleto, in controtendenza con l’evoluzione del gioco.

Non c’è una ricetta sicura per la vittoria. Il bello del calcio è proprio questo: si può vincere in tanti modi.

Paragonando questo Napoli non solo all’ultimo di Spalletti, ma a quelli precedenti, la domanda sorge spontanea: Rudi Garcia è l’allenatore adatto a valorizzare questa squadra?

Una squadra che, dai tempi di Benitez, passando per Sarri, a Gattuso (sì, anche Ringhio, seppur con risultati altalenanti) a Spalletti, ha sempre avuto nel suo dna un gioco propositivo. Un gioco fatto di possesso palla, sovrapposizioni, smarcamenti rapidi, incroci. Un calcio in cui la tattica collettiva è sempre stata più importante delle singole individualità.

Solo i risultati daranno una risposta alla nostra domanda. Solo le prossime partite potranno convincere quei tifosi che hanno sempre vestito elegante che si può essere fighi anche vestiti più casual.

Già, le prossime partite.

A partire da quella col Milan, il primo crocevia della stagione.


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