Alla fine è arrivato, come un prevedibile gancio al mento di un boxer professionista allo sparring partner di turno, il colpo che mette al tappeto la Serie A, condannandola, forse definitivamente, ad abbandonare il sogno, accarezzato da pochi presidenti con visione imprenditoriale, di riportare in auge il deleritto calcio italiano. Con 17 voti favorevoli, la Lega di Serie A accetta la misera proposta dell’accoppiata DAZN-Sky, che si aggiudica i diritti televisivi per il prossimo quinquennio. Esulta Claudio Lotito, che parla di vittoria del calcio italiano, ma dovrebbe spiegare come può una proposta, che oggi ci piazza alle spalle dei principali campionati europei, risollevare una situazione che rischia di passare dal grattesco al patetico.

Non ce l’ha fatta, invece, Aurelio De Laurentiis a trattenere la delusione, prendendo parola davanti alle telecamere, ribadendo quanto già espresso in conferenza meno di una settimana fa al Konami Center, con parole sentite, di un imprenditore sconsolato in mezzo a tanti prenditori. Ma c’era da aspettarselo e le parole di Urbano Cairo, presidente di quello che un tempo era il Grande Torino, hanno di fatto confermato il quadro impietoso in cui versa oggi la Serie A.

Ma quale vision strategica, quali investimenti? Già solo tenere in piedi i club rappresenta uno sforzo sovraumano, con debiti che si accumulano, ritardi nei versamenti contributivi e ricavi che a malapena riescono a pagare gli stipendi. Ma come si è arrivati a tutto questo? Come abbiamo depauperato un vantaggio monstre rispetto ad altre realtà che oggi, in Europa, si spartiscono trofei e la fetta maggiore dei profitti?

Un problema specchio del modo in cui viene amministrato il nostro paese, con approssimazione, senza tener conto delle competenze o del merito, ma basandosi su rapporti clientelari e la spartizione delle poltrone. E così, mentre nel belpaese ci si cullava sui successi ottenuti a cavallo degli anni 80 e 90, grazie anche ad una corruzione dilagante e alla necessità di movimentare denaro, prima che l’inchiesta “mani pulite” facesse crollare il sistema politico su cui si reggeva il paese, oltremanica ad esempio si emanavano leggi contro gli hooligans, si trasformavano gli stadi in luoghi sicuri dove portare le famiglie e si investiva in quella che rappresenta una delle industrie più redditizie al mondo: il calcio. Oggi in Italia siamo ancora costretti ad assistere a vili aggressioni nelle tribune di stadi per lo più fatiscenti.

A proposito di stadi, l’assegnazione degli Europei del 2032 dovrebbe essere l’occasione per alzare il livello delle infrastrutture, ma le vibes sono tutt’altro che positive e il rischio di una risoluzione parziale, con investimenti solo sugli impianti designati ad ospitare la competizione, é una possibilità concreta.
Vorremmo essere fiduciosi, credere che le cose cambieranno, ma ogni volta che si presenta un’opportunità, la realtà decadente che attanaglia questo paese, è uno schiaffo alle ambizioni di chi ambisce a rialzarsi facendo leva sul cambiamento.

La zavorra del nostro calcio, strano a dirsi, oggi è rappresentata proprio dai suoi principali club, quelle strisciate capaci di raccogliere oltre 16 milioni di tifosi, circa il 70% del totale. Club che tra problemi di varia natura, economici e giudiziari, non hanno la forza di fare da volano alla ripresa, ma allo stesso tempo con abbastanza potere politico e mediatico per tarpare le ali ai virtuosi, preoccupati di veder messa in discussione la loro leadership.

De Laurentiis continuerà, lui e pochi irriducibili, a lottare per il calcio italiano, ma a che prezzo? Perché il rischio di ritrovarsi soli, privi di sostegno, è forte e a pagarne le conseguenze, come spesso accade, rimarranno i tifosi.


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