Napoli-Eintracht, Conte dà una lezione a tutti i tifosi
Il Corriere dello Sport analizza la vulcanica conferenza stampa di Antonio Conte alla viglia della gara con l’Eintracht.
Napoli-Eintracht: Conte troppo più avanti rispetto alla piazza
CDS: “
In principio fu Eraldo Monzeglio, l’allenatore più longevo della storia del Napoli: sette stagioni di fila tra gli anni Quaranta e Cinquanta. Fu uno dei primi a discutere con la piazza: «Per voi o è Serie B o è scudetto, non c’è equilibrio. Così non vincerete mai niente». La conclusione è stata smentita dalla storia, ma il resto è ancora di viva attualità. Se ne sono accorti tutti quelli che sono passati di qui. Persino Maradona, anche se poi tutto è stato seppellito da una narrazione melensa.
Memorabili le conferenze di Rafa Benítez sui gossip del «nipote del vicino della cugina di una signora che dieci anni prima faceva le pulizie a casa di un calciatore del Napoli». Ora tocca ad Antonio Conte, che ieri è giustamente sbottato: «Siamo primi in classifica e sentiamo solo critiche. State sempre a cercare il bicchiere mezzo vuoto su tutto. Abbiamo avuto difficoltà assurde dall’inizio della stagione e continuano a esserci». Ce l’aveva più con i media che con i tifosi. Ma è un cane che si morde la coda.
Sempre più spesso i media rilanciano opinioni con l’unico obiettivo del consenso. E in città la lamentela è un ronzio di sottofondo. Anche sugli infortuni, come se capitassero solo qui. Il Barcellona ne ha avuti di più — quindici, che hanno colpito quattordici calciatori — eppure nessuno ha messo sotto accusa Flick. Anche lo scorso anno il Napoli è stato aspramente criticato: «giocava male», «si soffriva troppo». Come se vincere non comportasse sofferenza.
A Parma, con lo scudetto quasi in tasca, Conte non si tenne più: «Cazzo, vuoi pure non soffrire? Se non volete neanche soffrire, mi arrendo, questa piazza è troppo per me». Il sarrismo da queste parti ha prodotto danni indicibili: si stava benissimo da secondi, col premio della critica, e ci si lamentava degli arbitri.
Nel calcio, lo scudetto vinto da Spalletti a marzo è un’eccezione, non la regola. Poi, però, il Napoli di Conte ha vinto. E a quel punto non importa più come: è arrivata la festa. E sui festeggiamenti, da queste parti, si ostenta una presunzione di diversità che in realtà non sta né in cielo né in terra. Basta guardare cosa sta accadendo a Los Angeles per il secondo campionato consecutivo di baseball vinto dai Dodgers: uno spettacolo da Carnevale di Rio. A festeggiare sono bravi tutti. Il problema è riuscire a vincere.
Ci sarebbe un tema che in città nessuno affronterà mai: come mai a Napoli la piazza, la tifoseria, l’ambiente (mettiamoci anche i media) non sono cresciuti al livello del club e della squadra? Oggi il Napoli è la società più solida d’Italia, ha un grande allenatore, ha fior di giocatori. Eppure l’“entorno” — come dicono in Spagna — è rimasto quello di un luogo che non vince mai. Questa sarebbe la domanda. Ma Napoli è un Moloch: chi osa mettere in discussione la narrazione dell’unicità finisce gambe all’aria. Lo sa bene persino Conte, che infatti dosa carota e bastone.
Il problema non è solo Napoli. In Italia manca del tutto la cultura dello sport, l’educazione allo sport. La pretesa della vittoria è un concetto che oscilla tra l’infantile e lo stupido. Ne è stato travolto persino Sinner. Conte si rassegni: il percorso non interessa a nessuno.
In città si contano sulle dita di una mano quelli che hanno compreso l’importanza di Lukaku in questo Napoli; figuriamoci il resto: l’assenza di De Bruyne, l’inserimento di nove calciatori o le difficoltà di condurre da solo la battaglia politico-mediatica contro il Nord “pallonaro”. Napoli stressa. Ma, in fondo, l’Italia è quel Paese che si innamora di Julio Velasco solo perché si occupa di pallavolo. Se avesse fatto l’allenatore di calcio, sarebbe finito come Luis Enrique a Roma”.






