Antonio Conte non è solo un allenatore: è un simbolo di sfida al potere calcistico consolidato. Dopo aver guidato club di vertice come Juventus, Inter e Chelsea, il tecnico pugliese ha accettato la proposta di Aurelio De Laurentiis con un obiettivo preciso: costruire un Napoli capace di vincere non solo sul campo, ma anche nel prestigio e nella mentalità.
Conte e De Laurentiis: un’alleanza per cambiare il calcio
L’estate del suo arrivo a Napoli ha segnato una svolta per entrambi. De Laurentiis, presidente atipico e lontano dalle logiche di palazzo, cercava un uomo forte, un manager che unisse competenza e carisma. Conte ha incarnato perfettamente quel ruolo. La sua missione è chiara: guidare una squadra e un progetto in grado di sfidare l’egemonia delle “tre sorelle” — Juventus, Inter e Milan — che da sole hanno vinto 75 scudetti.
Lo scontro con l’Inter ha rappresentato un banco di prova simbolico. Dopo la sofferta vittoria in campionato e il trionfo nell’ultimo scontro diretto, Conte ha mostrato di saper imporsi con il lavoro e con le idee. La replica dura a Beppe Marotta, dopo il dibattito sul “rigorino” di Di Lorenzo, ha confermato la sua visione: “Non avrei mai consentito al mio presidente di dire certe cose al posto mio”. Una frase che racchiude il suo modo di intendere il calcio — da manager, non solo da tecnico.
La reazione del gruppo e la forza del lavoro
Nonostante le difficoltà, gli infortuni e la pesante sconfitta di Eindhoven, Conte ha saputo ricompattare la squadra. De Laurentiis, sceso in campo a fine gara per abbracciare ogni giocatore, ha compiuto un gesto mai visto nei suoi ventun anni di presidenza. È la dimostrazione che il Napoli oggi è un ambiente unito, dove la forza collettiva prevale sui singoli.
Conte non parla di miracoli ma di metodo, disciplina e fame. Come ha dichiarato Spinazzola, “questa squadra deve avere sempre fame”. L’obiettivo non è solo difendere il primo posto, ma costruire una struttura duratura, fatta di organizzazione e infrastrutture, per restare grandi nel tempo.
Da Marotta a Corvino: due volti della carriera di Conte
Domani, a Lecce, Conte ritroverà Pantaleo Corvino, il dirigente che per primo ne intuì il talento. La loro storia parte da lontano: un giovanissimo Antonio, figlio di Cosimino Conte, giocava nella Juventina, quando Corvino — allora responsabile delle giovanili della Gioventù Vernole — lo notò. Dopo qualche resistenza familiare, il futuro tecnico del Napoli passò al Lecce in cambio di otto palloni e una piccola somma.
Anni dopo, nel 2004, le loro strade si incrociarono di nuovo. Conte, ormai trentacinquenne e reduce dall’esperienza alla Juventus, ricevette da Corvino la proposta di chiudere la carriera proprio nel Lecce, la squadra della sua città. Un sogno che sfumò a causa della protesta di duemila tifosi giallorossi, contrari al suo arrivo.
Conte ne parlò con affetto nel suo libro Testa, cuore e gambe: “Chiudere a Lecce sarebbe stato il lieto fine di una favola”. Di Corvino conserva una delle lezioni più importanti della sua carriera: “Puoi sbagliare con la moglie, ma non con l’attaccante o il portiere”. Una massima che ha guidato il suo modo di costruire squadre vincenti.
La missione di Conte
Conte oggi è al centro di un movimento che vuole riscrivere le gerarchie del calcio italiano. Il suo Napoli rappresenta un modello alternativo, fondato sul merito, sulla cultura del lavoro e sulla continuità.
La strada è ancora lunga — lo stesso tecnico parla già del “terzo anno” come traguardo di costruzione — ma la direzione è chiara: trasformare una squadra vincente in un progetto stabile, capace di incidere anche fuori dal campo.
Fonte: Il Mattino






