L’evoluzione del Napoli come brand
Nel calcio contemporaneo, che piaccia o meno, il successo delle società di calcio ha molte facce, si definisce con modalità e unità di misura differenti rispetto al passato.
Da una parte ci sono i successi sul campo, che continuano a essere primari. Dall’altra, i club devono anche sapersi presentare come veri e propri brand.
Il Napoli, sotto la guida di Aurelio De Laurentiis, ha saputo unire entrambe le dimensioni: risultati sportivi e identità comunicativa. A guidare la rivoluzione del brand è stata Valentina De Laurentiis.
Sono 15 anni che il Napoli è una squadra d’élite. Si può dire che ci sia una continuità tra le due grandi fasi della storia recente del club? E quali sono le differenze?
«Sicuramente mio padre è un visionario, uno che non ha mai avuto paura di mettersi in gioco. Ha sempre avuto idee all’avanguardia che hanno permesso alla società di evolversi sotto ogni punto di vista.
Per costruire qualcosa di grande servono tempo, costanza e un lavoro profondo. È il coraggio di andare oltre ciò che si conosce a rendere possibile ogni trasformazione.
Negli ultimi anni abbiamo sentito il bisogno di fare un passo in più: non solo rendere forte la squadra, ma contribuire alla rinascita della città. Napoli ha una luce propria, che aveva bisogno di essere vista, raccontata, valorizzata.
Negli ultimi tre, quattro anni abbiamo scelto di puntare su questo: raccontare la magia, la poesia, l’anima di una comunità che canta e vibra a ogni ora del giorno e della notte. Volevamo sentirci ancora più vicini al popolo, a chi vive Napoli e a chi vive del Napoli».
Il rebranding e la nuova identità visiva
Quando e come è iniziato il percorso di rebranding del Napoli? Quali sono stati i punti cardine da cui siete partiti per dare una nuova immagine al club?
«Il percorso di rebranding nasce dall’esigenza di rappresentare l’orgoglio di essere Napoli e si è concretizzato in una rivisitazione del logo, con la tradizionale N napoleonica rielaborata in una versione più minimal e contemporanea.
Siamo partiti da un’idea chiara: il Napoli non è solo una squadra di calcio, ma un simbolo culturale. L’obiettivo era costruire un linguaggio visivo e narrativo capace di parlare non solo ai tifosi, ma anche a un pubblico più ampio, fatto di creativi, brand internazionali e appassionati di stile e bellezza».
Quali sono i punti cardine di questo nuovo linguaggio visivo?
«Abbiamo lavorato su tre concetti fondamentali:
Identità: rafforzare il legame con la città, rendendo visibile l’anima di Napoli in ogni dettaglio, dal logo alle maglie, dai materiali ai racconti.
Stile: alzare l’asticella in termini di design e innovazione, collaborando con eccellenze del mondo moda e lifestyle per creare un’immagine contemporanea.
Esperienza: far vivere il Napoli non solo durante la partita, ma ogni giorno, attraverso prodotti, eventi e progetti che raccontino un modo di essere, prima ancora che di tifare.
In sintesi, abbiamo contribuito all’evoluzione del Napoli da club sportivo a brand culturale, capace di ispirare, unire e rappresentare con orgoglio una città che ha molto più da dire di quanto spesso si immagini».
L’autoproduzione delle maglie
La scelta più dirompente è stata quella dell’autoproduzione delle maglie. Com’è nata e com’è stata sviluppata questa idea mai vista prima in Italia?
«L’idea dell’autoproduzione è nata da un’esigenza di libertà e di visione. Dopo tanti anni con i soliti brand sportivi, abbiamo sentito il bisogno di costruire un’identità più personale, coerente con ciò che stavamo diventando come club e come città.
Non ci siamo ispirati a nessun modello preciso: è stata una scelta di rottura, nata dall’idea che il Napoli potesse diventare un laboratorio creativo, capace di fondere sport, design, cultura e territorio in un unico linguaggio visivo.
È stato un lavoro enorme: dalla ricerca dei materiali alla costruzione di una filiera produttiva. Ma il risultato è stato straordinario, perché ci ha permesso di controllare ogni aspetto del processo creativo e di costruire un rapporto diretto con i nostri tifosi.
Durante il Covid abbiamo scelto il Made in Italy, affidandoci a tessuti e aziende italiane. È stata una corsa contro il tempo, vinta grazie a visione, coraggio e determinazione».
Com’è stato l’impatto di tutte queste nuove idee?
«L’impatto è stato immediato: abbiamo trasformato la maglia da semplice divisa sportiva a oggetto di design, simbolo identitario.
Quell’anno, il 2021/22, siamo usciti con tredici maglie, inclusa quella di Halloween, una novità assoluta. Abbiamo osato con idee fuori dagli schemi, come la maglia con la renna o quella con il bacio.
Tutto questo ha aperto enormi margini di crescita economica e culturale. Oggi vogliamo portare il Napoli a diventare un brand globale indipendente, capace di dialogare con il mondo del fashion, del lifestyle e dell’arte, mantenendo però la sua anima popolare e partenopea».
Creatività e processo produttivo
Com’è cambiato il vostro lavoro dal punto di vista creativo e pratico? Le idee per le divise vengono direttamente da voi?
«Il mio ruolo è mettere insieme idee, ispirazioni e progetti. Lavoro con un piccolo gruppo creativo interno che sviluppa il concept di ogni maglia. Poi collaboriamo con il gruppo Armani per materiali e dettagli.
L’autoproduzione ci ha dato libertà e velocità: possiamo osare di più e trasformare rapidamente un’idea in realtà. Ogni maglia racconta un pezzo di Napoli.
Quando presentiamo le maglie, scegliamo luoghi simbolici della città, spesso dimenticati o abbandonati. È anche un modo per riqualificare e valorizzare Napoli: una mappa viva di storia, arte e passione».
Merchandising e strategie commerciali
Con l’autoproduzione è cambiato anche l’approccio al merchandising. Da cosa è partita questa svolta? E in cosa consiste?
«Tutto è nato da una semplice osservazione: mancava prodotto Napoli in giro. E quando c’era, non era all’altezza.
Da questa consapevolezza è partita la svolta: creare un prodotto autentico, curato, di qualità, capace di raccontare la bellezza e l’identità di Napoli con lo stesso linguaggio dei grandi brand internazionali.
Siamo al quinto anno di autoproduzione e ogni stagione rappresenta un passo avanti. Miglioriamo materiali, dettagli, servizio e, soprattutto, l’engagement con i tifosi.
Vederli orgogliosi di portare il nostro brand è la conferma più bella che stiamo andando nella direzione giusta».
Partnership globali e radici locali
Il Napoli ha stretto partnership con grandi aziende internazionali, ma resta legato al territorio. Come si conciliano queste due anime?
«Credo che possano convivere perfettamente. Anzi, è proprio dalla loro unione che nasce la forza del nostro progetto.
Collaborare con grandi aziende internazionali ci permette di portare il Napoli su palcoscenici globali, ma restare connessi al territorio è fondamentale. Napoli è un universo di talento, artigianalità, cultura e passione.
Collaborare con realtà locali, artisti e imprese della nostra comunità significa non perdere mai il contatto con le radici. Il nostro obiettivo è unire il mondo e Napoli in un’unica narrazione: portare la città nel mondo e il mondo dentro la città».
Il futuro del brand Napoli
Cosa dobbiamo aspettarci per i prossimi mesi e per i prossimi anni? Dove e come può ancora crescere il Napoli?
«Abbiamo messo radici solide in Campania e ora vogliamo abbracciare tutti i tifosi e sostenitori napoletani nel mondo.
Il futuro è crescere come brand globale senza mai perdere le radici. Napoli ha un’identità così forte e universale che può parlare a chiunque.
Perché alla fine Napoli non è solo un club: è un’emozione che attraversa confini, culture e generazioni. Ed è da lì che continueremo a costruire tutto».






