La Gazzetta dello Sport racconta il faccia a faccia tra Pep Guardiola e Antonio Conte, avversari stasera a Manchester. Un duello che va oltre i novanta minuti: è la storia di due tecnici capaci di evolversi, adattarsi e reinventarsi.
Due tecnici evoluti, tra rispetto e rivalità
“Il calcio è come l’amore e come la luna: se non cresce, cala. Non sta mai fermo.” Chi resta indietro rischia di sembrare una racchetta di legno tra quelle in fibra di carbonio. Guardiola e Conte sono due eccellenze assolute perché, pur mantenendo i propri principi, hanno avuto l’intelligenza di svilupparli.
Si rispettano e si ammirano proprio per questo: si annusano, si riconoscono affini pur nelle differenze. Guardiola ha vinto tutto, sostenuto da rose di campioni, ma negli scontri diretti è avanti Conte: 4-3.
Pep e la scuola del palleggio
Guardiola è cresciuto nel paradiso del palleggio, educato da Cruijff a Barcellona. Non ha mai rinnegato la religione del pase y control, ma non si è fermato al tiqui-taca. Al Bayern ha chiesto a Neuer e Kimmich di impostare, al City ha colmato il vuoto lasciato da Messi con Haaland. Ha fuso gioco relazionale e posizionale, pur faticando talvolta di fronte alla verticalità moderna. Il suo è sempre stato un calcio di governo, figlio della tradizione spagnola e olandese.
Conte, dalla guerriglia alla rinascita
Il calcio di Conte nasce invece come guerriglia italiana, figlio di una terra occupata dai dominatori. Non ha mai ereditato armate vincenti: alla Juve, al Chelsea, al Napoli ha dovuto rifondare club decaduti, vincendo campionati al primo colpo. Ha stretto tra i denti il suo 3-5-2, difesa e contropiede, arrivando a un passo dalle semifinali Europee con Sturaro, Parolo e Giaccherini. Per anni identificato con un calcio povero di qualità, oggi trova nel Napoli la sua redenzione tattica: una squadra costruita per l’Europa, frutto di tutta la sua esperienza.
L’Euro-Napoli di Conte
Il Napoli che affronta il City è cambiato:
possesso palla dal 54% al 59%,
linea di recupero salita da 37 a 40 metri,
passaggi medi da 485 a 546,
tiri da 12 a 15 a partita.
Una formazione più dominante e offensiva, come chiede l’Europa. Lobotka, De Bruyne e McTominay formano un centrocampo molto diverso dalla mediana povera di qualche anno fa. Hojlund è il giovane affamato di profondità, un “piccolo Mostro” che incarna il nuovo spirito. Il City resta più esperto e qualitativamente ricco, ma questa sfida serve a tarare il livello del nuovo Napoli.
Fermare Haaland, vivere le emozioni
Il modo migliore per bloccare Haaland è non fargli arrivare il pallone: senza giocattolo, il “Bambinone” si intristisce. Il Napoli pressa più dell’anno scorso, ma dovrà dosare coraggio e prudenza: pressing alto sì, ma senza concedere campo. Bernardo Silva e Doku allargheranno il gioco; attenzione agli inserimenti di Reijnders. Doku, già spina nel fianco di Di Lorenzo, è in stato di grazia.
Il City è forte, ma concede: ha già perso due partite di Premier. Il Tottenham ha colpito in contropiede con Johnson sfruttando gli spazi lasciati liberi. È lì che Conte può far male, con le corse di Hojlund e McTominay, ex United assetato di rivincita.
Infine, le emozioni: Donnarumma, appena diventato idolo dei Citizens, vorrà confermarsi; De Bruyne, tornato nel suo “castello”, cercherà la partita perfetta. Un incrocio di storie, tattiche e sentimenti che può decidere il destino europeo del Napoli.






