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Antonio Conte
Antonio Conte

Non bisognava avere paura. Conte è stata la misura delle ambizioni del Napoli di De Laurentiis. Lo avevamo detto; quasi in solitaria. Io e pochi altri. Facendo storcere il naso ai molti che, pur di non mettere in discussione alcune certezze (per carità, consolidatesi nel tempo e legittimamente corroboratesi in esempli plurimi e sempre convincenti), avevano approcciato al nuovo corso con un fucile puntato.

Antonio Conte, tra sacro e profano

Conte è una figura impegnativa. In un mondo cervellotico, riesce a stupirti per la sua intuitiva risolutezza; in un calcio dominato nel racconto da una neolingua che prescinde dai tabellini, Conte ha parlato coi fatti il linguaggio della realtà.
Il termine miracolo è quanto di più lontano.

Tatticamente, il Napoli è stata la squadra più difficile da affrontare per tutte. Ed anche quando ha fallito il risultato pieno non è mai stata dominata, se non, forse, con l’Atalanta a ottobre.

I miracoli li fanno i santi; e Conte è tutto fuorché un santo.

È un professionista. Serio. È metallo. E si sa il metallo è duro, non malleabile; ma serve. Anzi, è necessario se vuoi ricostruire.

Ma non è un miracolo. È roba da uomini, non da santi.

Conte non è un santo. Così come santo non è De Laurentiis; lo abbiamo detto in ogni salsa. Il piano morale non ci interessa; alla morale, laicamente, abbiamo sempre preferito l’etica. E sia De Laurentiis, sia Conte incarnano a pieno lo spirito del professionismo, l’etica del buon lavoro, il frutto del lavoro. Al netto di intemerate mediatiche, conferenze stampa talvolta paradossali e momenti di “scazzo” vari.

Surplus Conte: è lui il valore aggiunto di questo Napoli

Conte è la dimensione che il Napoli ha raggiunto. Con difficoltà, con il proprio sudore. Nonostante il cabotaggio “storico” differente.

L’arrivo di Conte è stata una rivendicazione politica. Riaffermare la volontà di ribadirsi una grande del campionato; e di non accettare un ridimensionamento dopo il raggiungimento del proprio scopo sociale, quel titolo agognato per 33 anni.

Ribadirsi ad alti livelli era di vitale importanza. Perciò De Laurentiis, che è tutto fuorché stupido, è andato a prendere il migliore su piazza per rivendicare il pieno diritto a stare lì, al vertice di una Serie A.

Ma oltre alla rivendicazione, c’è stato il lavoro. Ci sono stati i 74 punti. C’è un primato a quattro dalla fine. Ed è tutto fuorché scontato.

E questo è il grande merito di Antonio Conte. Che ha trascinato il Napoli a credersi in grado di vincere lo scudetto. Probabilmente con la rosa meno attrezzata della sua storia recente, pensata cioè per raggiungere l’obiettivo societario, il ritorno in Champions.

Abbiamo assistito ad un capolavoro tecnico e tattico: il Napoli è diventato una grande squadra consolidando tutto quello che doveva rinvigorire. Irrobustendosi, cambiando il proprio dna, invertendo il binomio prestazioni/risultato. Tutte cose che durante l’anno si sono verificate senza fare prigionieri (forse uno solo, politico, che a gennaio ha deciso di disertare - amen!).

Ma il Napoli ha preso Conte perché ha creduto che fosse in grado di costruire qualcosa di importante. Ha investito tot milioni, anche mettendo in discussione qualche propria certezza strategica (Lukaku, McTominay, Spinazzola, ad esempio) perché ha ritenuto che fosse la strada giusta. La strada Conte.

Tutto quello che ha fatto oltre, queste 4 partite finali da giocare col favore del pronostico e 3 punti di vantaggio su una squadra raccontata come invincibile, è il surplus che uno come Conte può garantirti.


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