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Conte e De Laurentiis

Fu vero miracolo? E, poi, ogni quanto si ripetono i miracoli? Sì, a Napoli San Gennaro lo fa tre volte all’anno, alla Madonna di Lourdes ne sono attribuiti in svariate migliaia e molteplici anche alla Madonna di Medjugorje (ma in questo caso non sono tutti riconosciuti ufficialmente dalla Chiesa). Per il resto, si potrebbe chiedere a un teologo – che sicuramente saprà dirci di più –, ma a noi risulta che un miracolo, per definizione, sia qualcosa di straordinario e irripetibile. 

E, se vinci due Scudetti nel giro di tre anni, vuol dire che il miracolo non c'è stato. A meno che non si vuole alimentare la narrazione falsa e tendenziosa che vede Napoli come la Leicester d'Italia, un argomento malevolo che già due stagioni fa non aveva riscontro con alcun dato di fatto. Eppure, nel passato recente si è parlato di "miracolo" di Sarri e di Spalletti. E oggi si torna a farlo con Conte. 

Ma, come dire, se certi risultati si ripetono a distanza ravvicinata vuol dire che il miracolo, che pure sta sulla bocca di tutti, alla fine non c'è stato. Anzi: invece che affidarci al divino e al soprannaturale, nel calcio sarebbe giusto applicare le categorie di atei e agnostici, secondo cui i miracoli semplicemente non esistono.

Un equivoco che nasce da valutazioni sbagliate

Il Napoli vince il suo 4º scudetto
Il Napoli vince il suo 4º scudetto

Partiamo da un dato di fondo: parlare di miracolo vuol dire non apprezzare il lavoro della società. D'altronde, il ragionamento che si fa è piuttosto immediato: se la dirigenza non programma bene, allora è normale che, con la crescita che c'è stata nell'ultimo quindicennio, i meriti sono da attribuire solo ed esclusivamente agli allenatori. È da qui che salta fuori la storia dei miracoli. 
Peccato sia un punto di vista ideologico (ideologico perché aprioristico e che dunque porta a trarre sempre lo stesso giudizio di stagione in stagione, nonostante le strategie aziendali del club siano cambiate continuamente nel passato recente), che fa sì che siano sempre criticati il mercato del Napoli e il modo in cui viene costruita la rosa. 

Non c'è mai stata, insomma, una valutazione unanimemente corretta del valore dei calciatori che giocavano per il club azzurro. Non c'era con Sarri, di cui si diceva che friggeva "il pesce con l'acqua", e non c'era con Spalletti, quando ci si percosse il petto per gli addii dei veterani (dimenticandosi in un battibaleno di quello che si diceva poco tempo addietro, durante il triennio sarriano). Peraltro i sostituti erano due sconosciuti di nome Kim e Kvaratskhelia, invece del Dybala di turno. E anche questo è stato motivo di lamentele. 

Qualche concessione, bontà loro, c'è stata quest'anno. Complice, probabilmente, il fatto che Conte facesse da "garanzia" per il progetto tecnico pretendendo nomi grossi. E, dunque, tutto sommato c'è stato poco da ridire sugli acquisti (ma sul cambio di strategia nello scorso mercato estivo ci torneremo dopo). E allora ci si è spostati su altro, sempre per convincimento ideologico: la rosa era "corta", "gli uomini questi sono" e tutto l'armamentario dialettico che ben conosciamo per separare i meriti di Conte da quelli di una società che, per forza di cose, deve essere colpevole. Che è imputabile per natura eterna e immutabile. E non si è visto, peraltro, quello che era evidente: cioè che, quest'anno, pressoché tutte le decisioni sono state prese di comune accordo tra la dirigenza e Conte. E che la rosa non era corta, ma semplicemente adeguata per giocare una sola competizione. Cinque o sei cambi buoni: come fanno tutte le squadre che devono giocare solo il campionato.

Un mercato rivelatore

Conte e De Laurentiis

L'estate scorsa, a proposito degli obiettivi stagionali del Napoli, si diceva che, se fosse andato tutto per il verso giusto, gli azzurri avrebbero potuto raggiungere il quarto o il quinto posto (l'Italia non aveva ancora perso la quinta squadra in Champions), come a dire che a malapena si sarebbe riusciti ad entrare nell'Europa che conta. Eppure, non si capisce perché un progetto che aveva mostrato la forza di trattenere calciatori del calibro di Rrahmani, Di Lorenzo, Lobotka e Anguissa dovesse lottare con Roma, Lazio, Fiorentina e Bologna per i suoi obiettivi stagionali (tutti club che, per dimensione e risultati, il Napoli si è messo alle spalle da tempo).

Più di tutto, però, è stato rivelatore il mercato: 150 milioni di euro sono, infatti, una cifra che il Napoli non ha mai speso in un'unica sessione. Acquistando, peraltro, target di calciatori inediti per le strategie solite degli azzurri. Andiamo dai calciatori di grande riconoscibilità ed esperienza internazionale (McTominay, Neres e Lukaku), al miglior centrale emergente della Serie A (Buongiorno), a uno dei più grandi talenti della Premier League (Gilmour), fino al rincalzo col pedigree importante (Spinazzola). Forse solo la logica sottesa all'acquisto di Rafa Marin poteva avere raffronti col passato, ma anche trattare un calciatore con il diritto di recompra da parte del Real Madrid non rientra solitamente nella strategia del Napoli.

Come si è potuto pensare che questa non era una squadra costruita per lo Scudetto? Come si poteva mai puntare semplicemente al quarto o al quinto posto? Cosa non è chiaro del concetto di instant team? E cosa non è chiaro del fatto che Conte puntasse a rilanciarsi e a tornare il prima possibile nel giro delle grandi d'Europa (fermo restando che oggi un top club, tra le mani, lo ha già)? E poi, al di là di tutto, cosa non è stato chiaro dei piani del Napoli, laddove l'accoppiata Conte e 150 milioni – ripetete: 150 milioni –, avrebbe dovuto far pensare immediatamente a una corsa per il titolo?

E, allora, da dove viene lo Scudetto?

Napoli Festa Scudetto
Napoli Festa Scudetto

 Insomma, abbiamo messo in fila i fatti giusto per chiarire che lo Scudetto è stato studiato, pianificato, programmato. In una parola: voluto. Questo non vuol dire che così si vinca automaticamente il campionato, perché in mezzo c'è tutto il lavoro straordinario dell'allenatore, del Ds, dello staff tecnico e dei calciatori. Ma la scossa alla squadra e a tutta la piazza (anzi: al movimento calcistico nazionale) dopo le macerie della scorsa stagione è partita proprio da De Laurentiis. E il presidente sapeva che Conte sarebbe stato uno dei pochi uomini a detenere il know how tattico e gestionale per rimettere in piedi uno spogliatoio. Non si faccia, dunque, l'errore di pensare che sia stato Conte a dettare la linea al Napoli prima di firmare il contratto.

Conte, infatti, ha posto le sue condizioni – esose, è chiaro, com'è giusto che sia per un professionista di altissimo livello –, ma il matrimonio si è fatto perché si sono incrociate le ambizioni di entrambe le parti. Solo che le ambizioni del Napoli non sono cominciatee non finiranno di certo con Conte. Il club azzurro, infatti, continuerà ad essere ambizioso a prescindere dalla scelta che farà il tecnico salentino per il suo futuro. Ce lo dicono l'acquisto di De Bruyne, la parata Scudetto sul lungomare, l'incontro col Papa e persino il valzer delle panchine che al momento sembra sospeso (e non lo è) perché quasi tutti, tra grandi allenatori e grandi squadre, sono in attesa di capire se finirà il rapporto tra Conte e il Napoli... 

Insomma, è da una settimana che gli azzurri si sono presi la ribalta dei media nazionali e internazionali perché ad oggi non c'è una mossa del club partenopeo che non abbia grande peso politico. Quello che fa il Napoli, ormai, conta e anche tanto. Perché De Laurentiis ha reso grande questo club. Ha lavorato affinché si creassero, finalmente, le condizioni per “alzare il livello”, come si suol dire. E in tutto questo Conte è un tassello. Importantissimo, per carità, ma come tasselli importantissimi lo sono stati anche Mazzarri, Benitez, Sarri e Spalletti. Da questo punto di vista, allora, ci sentiamo di dire che il miracolo non c'è stato. Il titolo nasce come frutto di un lavoro lungo e incessante – a cui quest'anno si aggiunto quello meritorio di Conte. Proprio quel lavoro che chi parla di "miracolo" continua a non vedere.


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