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Luciano Spalletti e Antonio Conte
Spalletti e Conte

La gestione pattuita e stabilita di Antonio Conte al Napoli sancisce un cambio di rotta epocale. Un ribaltamento che va ben oltre l'aspetto tecnico, e che affonda le sue radici in una conquista gestionale. È la conferma, quasi una postilla a margine, delle dichiarazioni di Luciano Spalletti nel suo libro fresco di stampa: a Napoli, il riconoscimento implicito che il tecnico toscano non ha avuto tutti i torti nel sciogliere questo connubio.

Chiamatela vittoria, rivalsa, affermazione personale. Ma il segno lasciato da Antonio Conte inizia prima ancora che lui si sieda in panchina: è l'imposizione di un metodo, di un'autonomia che mancava da anni. Non solo per Spalletti, ma forse anche per quelli che lo hanno preceduto: Rafa Benitez, Maurizio Sarri, persino Carlo Ancelotti. Tutti, in forme diverse, si sono scontrati con l'egemonia verticale e monolitica di Aurelio De Laurentiis, spesso uscendone sconfitti o logorati. Conte, invece, ha fatto quello che gli altri non sono riusciti a fare: dettare condizioni. Con stile, senza rotture fragorose, ma con fermezza.

Il De Laurentiis autoreferenziale non ha pagato.

È questo il segnale che dovrebbe far riflettere. Perché se è vero che De Laurentiis ha sempre mantenuto un certo distacco tra i rapporti lavorativi e quelli personali – una posizione legittima, anche condivisibile – è altrettanto vero che spesso questo suo modo di fare ha sfociato in una gestione solitaria e impermeabile a discapito del rispetto verso l’aspetto umano della figura del tecnico. Napoli ha pagato a caro prezzo l’autoreferenzialità del suo presidente. La confusione tra gestione aziendale e conduzione tecnica ha prodotto un cortocircuito pericoloso.

Antonio Conte e Luciano Spalletti
Antonio Conte e Luciano Spalletti

La stagione post-scudetto è stata l’esempio plastico di come un progetto possa sbriciolare in un non nulla. La nomina di Mauro Meluso come direttore sportivo – persona stimabile, per carità – è apparsa sin da subito come un salto nel vuoto, privo del respiro internazionale e della struttura necessaria per tenere insieme un gruppo reduce da un’impresa storica. Poi, le panchine che si sono alternate come in una giostra impazzita: da Rudi Garcia, scelta tanto inspiegabile quanto disastrosa, a Mazzarri, fino a Calzona, con la squadra sempre più smarrita e senza un’identità. Una confusione tecnica figlia di una gestione presidenziale invasiva e poco incline al delegare.

La vittoria gestionale di Antonio Conte è un atto politico.

Conte, oggi, è la diga che ha frenato una papabile deriva. Ma anche la prova vivente che chi lo ha preceduto aveva visto giusto: l’autonomia tecnica è l’unica strada per costruire continuità. Forse Spalletti ha dovuto scriverlo in un libro per farlo capire. Forse Conte dovrà dimostrarlo sul campo. Ma che De Laurentiis abbia ceduto, che abbia finalmente riconosciuto l’esigenza di fare un passo indietro, è la vera notizia.

Se poi porterà anche risultati, sarà una vittoria doppia. Ma già dal suo primo allenamento, Antonio Conte ha già vinto qualcosa di ancora più raro: il rispetto dei ruoli. 


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