Con la leggerezza di uno scugnizzo che, ridendo, rovescia decenni di egemonia. Grazie.

Questa sera così dolce che si potrebbe bere, da passare in centomila in uno stadio
Una sera così strana e profonda che lo dice anche la radio…
Queste le parole di Lucio Dalla che risuonavano incessantemente nella mia testa a poche ore dal fischio d’inizio di una partita che avrebbe potuto significare tutto e il contrario di tutto. Un miscuglio di emozioni così prepotente da togliere il respiro, dove scenari apocalittici e trionfalistici si susseguivano senza apparente senso logico. E scommetto che questo è stato lo stato d’animo di ogni singolo tifoso del Napoli in queste lunghe giornate di attesa.
Se da un lato spingeva frenetica la voglia di esultare, di gridare che ce l’avremmo fatta, dall’altro si faceva strada, prepotente, il retaggio di una paura instillata minuziosamente per secoli nel cuore di un popolo che, citando Pino, “cammina sott 'o muro”.
C’è una Napoli racchiusa nel tuppo nero di Donna Concetta, bau bau e spauracchio di tutte le paure ancestrali, innestate in una Capitale che, temuta, è stata ricacciata a mera provincia. Eppure quel tuppo nero si sta finalmente sciogliendo, liberando tutta la bellezza e la saggezza di Donna Concetta, così come Napoli si sta faticosamente liberando dei legacci che per anni l’hanno inutilmente incatenata.
Ore 20.45 – Napoli-Cagliari
Ci siamo, è il momento della verità.
Ma prima che la nostra mente possa concentrarsi sulla partita, i nostri occhi e i nostri cuori vengono rapiti dalla bellezza che solennemente si fa largo in Curva B.
Ed è lì, in quel preciso istante, che la paura, perfida nemica, abbandona del tutto il cuore.
Uno scugnizzo, vittorioso, raggiante e ironico – volto di ogni napoletano – strappa il tricolore dalla maglia a strisce del bambino interista, atterrito. Le parole non riescono a esprimere del tutto le sensazioni che un’opera del genere ha suscitato: è così densa di simbolismo che non si sa nemmeno da dove iniziare.
Lo stile quasi caravaggesco, con i chiaroscuri tipici del genio meneghino, che così ferocemente rimase folgorato da Partenope; la madre spaventata che invano allunga le mani per proteggere lo strisciato, metafora di un sistema protettivo che stavolta nulla ha potuto per difendere il suo figlio prediletto.
I bambini dietro, vestiti umilmente, trionfanti nel vedere lo scugnizzo.
E la cosa più bella: non c’è cattiveria, malizia o arroganza nel volto del napoletano trionfante, ma solo la risata innocente, spensierata e consapevole di chi sa di aver già vinto.

Ore 22.48 – Vittoria
Si muove la città con le piazze e i giardini e la gente nei bar
galleggia e se ne va, anche senza corrente camminerà
ma questa sera vola,
le sue vele sulle case sono mille lenzuola...
E alla fine la città si è mossa per davvero, sospinta da quella sera dei miracoli così dolcemente cantata dal genio bolognese così follemente innamorato di Napoli.
Notato che tutti i geni sono innamorati di Napoli? Chissà, sarà l’aria.
Dolce, dolcissima la notte di Napoli: un solo unico sospiro, una sola lacrima a bagnare il viso di una comunità che più di tutte merita questa gioia. La città ha sprigionato così tanta energia da lasciare folgorati: persone di ogni estrazione sociale, sconosciuti che si ritrovano stretti in un abbraccio collettivo dove la tua gioia è anche la mia, e la mia felicità è anche la tua.
La città si è mossa, Dio se si è mossa.
Due scudetti in tre anni.
Non era riuscito nemmeno al più grande di tutti, nemmeno al Dios Umano in persona.
Lo scugnizzo ha rovesciato l’egemonia, Donna Concetta può sciogliere il tuppo perché "Sulamente si vulesse Dio" non è più una preghiera disperata.
Cuncè, Dio ha voluto.
Qualche piccolo sassolino
E a proposito di divinità, citando Gaber:
"Ma va a finire che uno prima o poi ci piglia gusto e con la scusa di Dio tira fuori tutto quello che gli sembra giusto."
E allora fatemi fare la parte della divinità da Vecchio Testamento, collerica e rancorosa. In ordine:
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Ai giornalisti (o presunti tali) che hanno sacrificato una delle professioni più nobili mai esistite in nome della provocazione e del sensazionalismo più becero: nessun brindisi stavolta, nessun lazzo.
Solo il silenzio bruciante di chi, per un pugno di like, ha sacrificato anche la propria dignità.
Prima o poi vi dovrete guardare allo specchio, e quel rantolo morente che è la vostra coscienza chiederà il conto. -
Ai bestemmiatori impuniti, che hanno potuto scoprire quanto sia amaro lo spergiuro.
Un turno di campionato non vale la testa del proprio figlio, e dimostra – qualora ce ne fosse ancora bisogno – quanta strada serva per diventare veramente campioni. -
A una parte (non tutta) del tifo interista, che quest’anno ha platinato l’abilità di guardare la pagliuzza nell’occhio altrui, dimenticando la trave che perfora il proprio.
Una curiosità: gli slogan su camorra, colera e compagnia cantante… ve li hanno coniati quelli che da anni vi divorano curva e città? Ipocrisia. -
A chi è protetto da ogni conseguenza e fa la parte del perseguitato.
Stavolta neanche quello vi ha salvato dalla risata dello scugnizzo.
Questo scudetto è anche vostro,
sperando che non risulti troppo indigesto.
Lo scugnizzo ride alle vostre facce livide di rabbia e continuerà a farlo fin quando ne avrà la forza.
Statene certi.
Ci vediamo al prossimo campionato.