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Cristiano Giuntoli, ex Ds della Juventus
Cristiano Giuntoli, ex Ds della Juventus

Dean Huijsen, 20 anni, ex diamante grezzo del Bournemouth di Iraola, una delle sorprese della Premier League 24-25, venduto per 18 milioni. Matías Soulé, 22 anni, talentuoso fantasista argentino che si è rivelato il backup perfetto di Dybala in una Roma che nel girone di ritorno ha avuto un ritmo da Scudetto, venduto per 30 milioni. Enzo Barrenechea, 23 anni, sbolognato maliziosamente all'Aston Villa assieme a Illing Jr nella maxi operazione per Douglas Luiz, che è stato una delle poche note positive della stagione del Valencia, venduto per 8 milioni. 

Non è tanto la somma a cui sono stati ceduti il problema, quanto il fatto che parliamo di tre talenti. Tre calciatori su cui una squadra in piena ricostruzione come la Juventus avrebbe dovuto puntare per formare una nuova ossatura, magari tranquilla del fatto che avrebbe potuto contare sul loro apporto per anni. Eppure, la strategia perseguita in estate dall'ormai ex Ds bianconero Cristiano Giuntoli è stata quella di sacrificarli. 
Una vicenda confermata da Huijsen stesso, che qualche mese fa a Marca ha dichiarato: “La Juventus mi ha costretto ad andare via. Probabilmente si sono comportati male con me. Al primo giorno dopo le vacanze mi hanno detto che dovevo andarmene, mi hanno costretto ad allenarmi da solo. Avrei voluto una chance”.

Parole che suonano amarissime, oggi, se si considera che il gioiello spagnolo-olandese è stato da poco acquistato dal Real Madrid per 60 milioni. E che molto probabilmente sarà uno dei punti fermi del nuovo ciclo di Xabi Alonso. A Soulé, Barrenechea e Huijsen, poi, vanno aggiunti i due fiorentini Kean e Fagioli, pure ceduti con troppa facilità. Anzi, ceduti quasi come se ci si fosse liberati di un peso. E infatti il corso della stagione ci ha detto che neanche questa scelta è stata particolarmente lungimirante. E clamoroso, in particolare, è stato il caso di Kean.

Il progetto di Giuntoli e della Juventus

Cristiano Giuntoli e Thiago Motta
Cristiano Giuntoli e Thiago Motta

Eppure, la Juventus sembrava aver imboccato la strada giusta. Colpiti probabilmente dal modello di business del Napoli, i vertici del gruppo Exor avevano deciso di cambiare completamente rotta rispetto al passato e di tornare sì a vincere, ma forti di una sostenibilità economica alle spalle. 
E allora la prima cosa da fare era arruolare Giuntoli, uno degli artefici del terzo scudetto del Napoli. L'altro elemento fondamentale era un allenatore preparato e con idee moderne: Thiago Motta, che non a caso era tra i papabili successori di Spalletti (e il cui valore come tecnico, ad ogni modo, non può essere messo in discussione). Un piano che sembrava perfetto, iniziato prima con l’ingaggio dell’ex Ds del Napoli, e proseguito poi con gli esautoramenti chirurgici di Pogba e Allegri: due delle figure più ingombranti ereditate dalla scellerata presidenza di Andrea Agnelli, che ostacolavano i piani di John Elkann e soci.

Stagione nuova, tecnico nuovo. Dunque il calciomercato dell'estate 2024 è stato il vero inizio di Giuntoli in bianconero, che come obiettivo a breve termine aveva quello della riduzione degli elevatissimi costi fissi della rosa, in modo da uscire dalla strutturale dipendenza del bilancio della Juve dagli aumenti ciclici di capitale sociale, considerato anche il quadro sempre più stringente dei vincoli posti dalla UEFA. Via allora i senatori Szczesny, Rugani, Alex Sandro, Rabiot e Chiesa (a cui si è aggiunto Danilo a gennaio) con i loro ingaggi pesanti, e via anche Djalò e Alcaraz, non riconfermati per poter liberare slot a calciatori probabilmente ritenuti più congeniali al calcio che pratica Motta. Ma con questi risparmi non ci si poteva di certo finanziare il mercato. 

E allora via anche con le cessioni immediate dei giovani per dare a Motta la squadra che desiderava. Morale? Oggi hai avuto un allenatore che ha perso completamente il controllo dello spogliatoio e per cui hai fatto acquisti pesanti (Koopmeiners, Douglas Luiz e Nico Gonzalez su tutti) che, per la politica di ammortamenti della Juve, ti peseranno a bilancio fino alla fine del contratto. 

La mancata minimizzazione del rischio

L’errore, insomma, non è stato tanto nella scelta dei nuovi vertici dell’area tecnica, quanto fare un completo all in su di loro senza prima dotarsi di una strategia di minimizzazione dei rischi. Minimizzazione dei rischi che, magari, sarebbe dovuta passare prima per una più attenta e approfondita valutazione delle risorse a disposizione. Perché sì: il calcio è un business e il mercato estivo di Giuntoli sembrava un piccolo capolavoro di bilancio, ma un club non può prescindere dai suoi asset principali, che sono i calciatori.

Qual è la lezione da imparare da tutta questa storia? Qual è, probabilmente, uno degli errori che è costato più caro a Giuntoli? Che bisogna sempre fare un’attenta analisi delle risorse che si ha a disposizione. Cosa hanno comportato, infatti, queste cessioni improvvide della Juve – improvvide perché non basate su una valutazione più approfondita degli equilibri di spogliatoio e delle potenzialità a disposizione? Cosa ha portato, a conti fatti, la guerra al capitano Danilo, che è stata una delle cause della perdita del controllo dello spogliatoio da parte di Motta? A conti fatti hai sacrificato tanto per un allenatore il cui progetto tecnico è terminato dopo pochi mesi.

Giuntoli, allora, dopo aver spinto sull’acceleratore della rivoluzione dopo un primo anno di transizione soft, forse ha pensato di avere in mano le chiavi della società. Per cui, anche un progetto di rinnovamento, che si è posto l’obiettivo giusto e che ha visto i primi passi condotti con tempistiche perfette, poi è fallito a causa di una visione forse troppo unilaterale del calcio: esclusivamente legata alla tattica e alla costruzione della rosa, senza badare a tutta un’altra serie di aspetti di tipo puramente aziendale e manageriale. Di gestione del gruppo.

La forza del Napoli

Oriali e Conte

Si tratta dell'esatto opposto di quello che ha fatto il Napoli, la cui forza in più, invece, è rappresentata dal fatto che Antonio Conte, senza alcun preconcetto, ha puntato sulla continuità della rosa (pur con un progetto tecnico completamente nuovo), valutando le risorse a disposizione grazie a ben due ritiri. Gli uomini, infatti, sono stati scelti non solo in base al loro valore assoluto in termini calcistici (si pensi alle cessioni di Lindstrøm e Osimhen, su tutte), ma anche in base al loro peso specifico sul piano umano. Si è deciso di salvaguardare il gruppo. Se, infatti, da un punto di vista di bilancio non aver ceduto i calciatori del gruppo storico poteva rivelarsi un problema per le casse del Napoli, è anche vero che gli azzurri hanno già tenuto conto del fatto  che questo rischio avevano la forza di assumerselo (la strategia di minimizzazione). 

E, allora, puntare sulle risorse già esistenti è stata una scelta dal profondo significato manageriale. Antonio Conte ha studiato attentamente i suoi uomini prima di decidere chi doveva andare e chi, invece, doveva restare. Anche se con una sola competizione le riserve avrebbero giocato pochissimo: il tecnico del Napoli ha insistito per la loro permanenza e le ha ringraziate spesso durante il corso della stagione proprio perché, grazie alla sua esperienza, sa che esistono degli equilibri di gruppo che nel corso della stagione possono e devono darti quella spinta in più.

E, si badi, un ulteriore punto a favore di questa strategia è dato dal fatto che si è puntato sulla continuità dello spogliatoio anche a gennaio: se, infatti, la Juventus ha condotto un’altra sessione intensa sul piano degli acquisti e delle cessioni, il Napoli ha preferito non intaccare gli equilibri del suo spogliatoio. Non è andato in panic buying, nonostante fosse in corsa per lo Scudetto. In altre parole: ci si è fatto forza con le risorse esistenti, un’altra volta. Questa è la scelta di base che hanno fatto il club azzurro e Antonio Conte, al di là della retorica degli uomini da portare “in guerra”. E i risultati ci hanno detto, quest'anno, che la strategia più efficace è stata quella del Napoli. Che vogliamo dire, allora, a Giuntoli? Che a Napoli è cresciuto tanto come dirigente, senza dubbio. Ma che forse, anche se non è più alle dipendenze dei partenopei, ha ancora tanto da imparare.


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