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L'allenatore del Napoli, Antonio Conte
L'allenatore del Napoli, Antonio Conte

Sono giorni che impazza un toto-allenatore retroattivo, supportato dalla stampa come fossimo in una reale sessione di calciomercato. È tutto un “dove avrebbe potuto allenare Conte”, se ne avesse avuto la possibilità. Sì, perché il mister in primavera si sarebbe offerto al Milan, avrebbe atteso la Juve, il Bayern, lo United e qualche Nazionale, prima di accettare la destinazione Napoli. Che, per deduzione del pensiero retrocranico dei media, sembrerebbe essere (stata) un ripiego.

Dopo la vittoria a Milano, piuttosto clamorosa per la relativa scioltezza con cui è avvenuta, si son visti articoli ed interviste sui presunti “perché” alla base del mancato arrivo del mister a Milano sponda rossonera. Ed è parso evidentemente chiaro che i messaggi di risposta (retorica) attribuissero alla società, e ad Ibrahimovic in particolare, la mancata scelta. Con Conte lì alla porta col cerino e i dirigenti che perseguivano, oggi incomprensibilmente, altre soluzioni.

Il punto è questo. Il Napoli ha appeal mediatico prossimo allo zero, per essere generosi. E’ stato ed è visto come una rondine che non fa primavera, perché il contesto populista si aspetterebbe sempre una “solita nota” in linea con la bandiera a scacchi. Da ogni punto di vista. Non è comprensibile che un top coach possa deliberatamente accettare la destinazione partenopea, se davvero avesse tra le mani l’opportunità di allenare qualcun altro. E’ successo qualche anno fa con Ancelotti (al di là dei risultati alterni che conosciamo), è riaccaduto questa volta col mister salentino.

La stampa italiana non accetta che il calcio funzioni oltre l'asse Milano Torino

Le ragioni di tutto questo potrebbero essere molteplici, ma proviamo a fornirne di razionali. La stampa sportiva italiana non ha capito (o non accetta) che sono in corso, da qualche anno ormai, un appiattimento delle forze in campo, una competitività media più equiparata e l’ingresso di altre società nel novero delle potenziali relazioni di potere. Il Napoli ha oltrepassato i confini nazionali per le competizioni continentali per 14 anni consecutivi; l’Atalanta ha giocato una semifinale di Champions e ha vinto un’Europa League; la Roma ha vinto una Conference League e ha giocato una finale di Europa League; la Lazio si è qualificata più volte per la Champions; il Bologna ha aperto la finestra nella scorsa stagione. 

E fatta salva la Roma, che resta tuttora una società con qualche problema finanziario, le altre hanno costruito questo presente grazie alla programmazione, la competenza e l’attenzione ai costi (= management). Ecco, il potere si sovverte anche con la competenza, o perlomeno si assottigliano le differenze per tendere ai risultati sportivi. In un un contesto così palese, è praticamente ovvio che un top coach o un top player (nei limiti di ciò che può permettersi il campionato italiano) possano fare scelte differenti rispetto a quelle che ci si aspetta. O meglio, rispetto a quelle che prova ad imporre la narrazione giornalistica. E’ semplicemente un percorso logico, che vivrà altri stravolgimenti o ritornerà sui propri passi, se dovessero verificarsi ulteriori circostanze. Ma oggi è così, basterebbe accettarlo e comunicare in maniera obiettiva.

La stampa sportiva italiana è storicamente aggrappata alle line editoriali tese solo alle vendite, non comprendendo che l’azione di “education” del lettore fondata sull’analisi dei fatti è l’unica speranza di continuità. Si costruisce le sue nicchie nonostante abbia, sovente, il cappello del generalismo. E si rivolge a chi vuole che legga, che solitamente coincide col maggior numero. Non può essere un caso se si naviga da anni nei bassifondi delle classifiche sulla libertà di settore, per quanto ad un livello trasversale.

Alla fine finisce per risultare grottesco fermarsi, post Milan-Napoli, ai commenti su ciò che sarebbe potuto essere e non è stato, in riferimento ai movimenti di mercato dello scorso giugno. E a Conte, che non avrebbe mai accettato Napoli se lo avesse davvero voluto il Milan. In un mondo che non c’è.


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