Starace col caffè
Starace col caffè

Tommaso Starace svela alcuni retroscena dello scorso campionato 

Tommaso Starace, magazziniere del Napoli, ha rilasciato un’intervista alla Gazzetta dello Sport per svelare alcuni retroscena sulla scorsa stagione.

De Laurentiis sul palco durante la premiazione per lo Scudetto 2025
De Laurentiis sul palco durante la premiazione per lo Scudetto 2025

Starace svela diversi retroscena

Raccontiamo l’inizio.

«Possiamo partire da prima. Ero un bambino, figlio di contadini, e arriva in casa nostra Gaetano Masturzo, magazziniere del Napoli figlio d’arte, che ha la tosse convulsiva. Si diceva, all’epoca, che per curarla bisognava respirare l’aria delle stalle, che gli animali aiutassero. Io rimasi folgorato dalla figura del papà e decisi che volevo essere come lui».

Entra nel Napoli da ragazzo.

«Nel 1977, avevo 22 anni. Senza raccomandazione, con il dono della passione. Sto vicino allo chef Maresca, a Piazza Amedeo, a imparare. Poi mi chiama Salvatore Carmando, c’è la possibilità di andare a Soccavo, il vecchio centro sportivo, e mi dice: che vuoi fare, ci verresti? E da lì, mai un giorno di ferie».

Ha visto il calcio cambiare.

«In ritiro, prima delle partite, si andava il venerdì. E spesso si tornava al lunedì, dipendeva dalla disponibilità degli aerei. Il charter a Napoli l’ha introdotto Allodi, perché con Maradona entrammo in una nuova dimensione, trasferte e tornei, l’Europa, le vittorie, le tournée. Ne ricordo una in Giappone, penso sia stata la prima».

Volare non è mai stato semplice, per qualcuno.

«E per altri, divenne impossibile. Partimmo per il Trentino, si andava a fare la preparazione e si restava fuori anche 40 giorni, ad un certo punto turbolenze, problemi, paura, le maschere, il terrore. Quando toccammo terra, Eraldo Pecci promise a se stesso che non sarebbe mai più salito su un aereo. Penso abbia tenuto fede a quella parola».

Il bello del calcio lo scopriste con Maradona.

«Il più grande di tutti e di sempre, con un’umanità straordinaria. Ci ha spiegato come si faceva a diventare campioni d’Italia, a conquistare le Coppe. Ma io ho avuto la fortuna di essere così come sono: ho voluto bene a chiunque e sono stato ricambiato».

Mertens però occupa un posto privilegiato nel suo cuore.

«È diventato un famigliare, un figlio. È nata una simpatia immediata che è diventata empatia. E il tempo ha consolidato questo nostro rapporto».

Quattro scudetti da raccontare.

«Non esistono differenze, non può essercene uno più bello dell’altro, le vittorie ti restano tutte dentro e per ognuno di quei successi ci sono aneddoti e momenti che ti emozionano. La sfilata sul lungomare, un mese fa, è una istantanea indimenticabile per me, per la squadra, per Conte, per De Laurentiis ma per il Mondo direi, perché Napoli è stata apprezzata nella sua bellezza e nella propria eleganza».

Le serate cupe?

«La retrocessione in Serie B nell’98, a Parma, con Taglialatela che piangeva sulla spalla di Fabio Cannavaro. Una tristezza che era soltanto nostra, della gente, di una città ferita. Noi che avevamo avuto Diego. E poi il fallimento del 2004, l’estate nell’incertezza che stesse per finire davvero tutto, prima che arrivasse De Laurentiis e ci facesse risorgere fino a vivere queste sensazioni cui in pochi avrebbero creduto. Invece, due scudetti in due anni e quello che abbiamo avuto modo di conquistare prima».

Il suo caffé è un cult.

«Ce n’è stato per tutti, ovviamente. Sarri ne prendeva quattro o cinque, l’aiutavano a fumare. Lui e Zeman se la giocavano alla pari, su questo fronte. Spalletti ci andava cauto, per non essere tentato poi di nuovo dalle sigarette. McTominay era scettico, ora viaggia ad una media di due al mattino, con me».

Ha compiuto 70 anni a febbraio e dunque...?

«Ho la mia età, ne sono consapevole. De Laurentiis mi ha detto che potrebbe esserci un altro ruolo per me. Ho realizzato i sogni, mi sono divertito un sacco e non ho mai avvertito il peso della fatica, anche se in passato preparare per 20-25 calciatori da solo non era un giochino. Ma era quello che volevo».

Scelga una sola immagine dal proprio repertorio.

«E come si fa! Io ho tutto in testa. Però, se proprio devo, allora dico la finale di Coppa Uefa a Stoccarda, la squadra a festeggiare con i tifosi, li chiamavamo e non sentivano per la premiazione. Andai, presi Diego in braccio di peso: c’è da alzare la Coppa».


💬 Commenti