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Il vostro trofeo più bello… il Campionato. Il nostro… Esposito ammazzato.

Questa è la scritta che campeggia su un muro della Capitale, qualche giorno dopo la vittoria del nostro quarto tricolore. È lì, pronta a far compagnia a "Sparo e non miro, sotto l’albero… un altro Ciro", e a "Daniele a noi ce l’ha imparato, sparare a Ciro non è reato". (Sì, è scritta proprio così. Nemmeno l’italiano sanno scrivere.) No, non userò censure, né asterischi. Non edulcorerò parole che definire oscene è riduttivo. Partorite da menti malate e mani armate di bomboletta spray, queste frasi devono colpire come un pugno qualsiasi lettore, devono scuotere coscienze profondamente assopite in una parte della società che si sta pericolosamente assuefacendo a voltare la testa dall’altra parte. 

Faccio un respiro profondo, conto fino a 100 e scrivo. Scrivo tutto ciò che va detto, cercando di ripulire ogni pensiero dalla furia che parole del genere inevitabilmente scatenano. Perché abbandonarmi a quella furia non mi renderebbe poi così diverso da quegli "animali" che tali parole le hanno scritte.

 Un passo indietro

 3 maggio 2014. A Roma si gioca la finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina. Nei pressi di Tor di Quinto, durante scontri tra ultras, viene ferito Ciro Esposito, giovane tifoso napoletano accorso nella Capitale per seguire la squadra del cuore. La gravità della situazione è chiara sin da subito, anche se la reale portata del gesto si comprenderà solo con il tempo. Intanto, allo stadio Olimpico, la tensione continua. Genny ‘a Carogna, al secolo Gennaro De Tommaso, leader dei Mastiffs della Curva A, costringe lo slittamento dell'inizio della partita poi vinta dal Napoli. Una vittoria di Pirro, segnata dall’angoscia collettiva. Nel frattempo, il volto e la storia di Ciro fanno il giro del Paese. Il colpevole ha un nome: Daniele De Santis, detto "Gastone", ultrà di estrema destra, già allontanato dalla Curva Sud romanista. È lui ad aver sparato. Napoli è ferita nell’anima. Un fratello, un figlio, un amico è ridotto in fin di vita dal gesto vile, infame e vigliacco di un tifoso romanista. L’agonia di Ciro termina il 25 giugno e, insieme a lui, qualsiasi tentativo di ricostruzione di un rapporto tra tifoserie ormai nemiche.

 Le dimostrazioni di cordoglio e affetto sono immani, a partire dai tifosi della Lazio. Chi meglio di loro può comprendere il dolore e la rabbia che un evento del genere porta con sé? Loro che si vedono disonorare un fratello da quasi 50 anni, con scritte, cori e frasi macabre, a dir poco. Questo, purtroppo, rappresenterà solo l’inizio. 

Roma-Napoli, striscione contro la mamma di Ciro Esposito: Lei chiede di ...
Striscione contro la mamma di Ciro Esposito

Una vergogna lunga 11 anni

 Dopo le parole di cordoglio, sono arrivati i fatti. E i fatti hanno, come spesso accade, smentito ogni apparenza: indagini, controlli e perquisizioni si sono concentrate più sulle case dei tifosi partenopei che su quelle dei romanisti e dello stesso De Santis. Un controsenso che conosciamo fin troppo bene. Un controsenso, figlio dell’Italia a due velocità a cui siamo tristemente abituati. Ma questa ora è un’altra storia. 

Ritorniamo al presente, all’oscenità riportata su quel muro. Come al solito, non offrirò risposte. Ma domande.

 Cosa deve accadere nella vita di un uomo per fargli sviluppare una tale lordura d’animo? Quanti “casi isolati” dovranno ancora emergere prima che ammettiate che no, non sono affatto isolati?

 Quanto tempo continuerete a ripetere che non si tratta della Curva Sud, quando proprio quella curva ha più volte offeso la memoria di Ciro, ostentando vessilli in onore di De Santis o addirittura esponendo striscioni contro la signora Leardi, madre di Ciro? 

Davvero la vostra mediocrità sportiva è diventata il pretesto per tirare fuori il peggio di voi?

 E soprattutto, la domanda più importante: Perché pretendete — giustamente — rispetto per Antonio De Falchi, se poi infangate senza alcun pudore la memoria di Ciro Esposito? 

I morti non hanno colore. Non esistono morti di serie A e morti di serie B. L’ipocrisia che accompagna questa vicenda è un ulteriore, enorme, chiodo sulla bara della vostra credibilità. Non provate nemmeno a dire che sono pochi, che sono eccezioni. TikTok, X, Facebook: traboccano di commenti infami, di video disgustosi, di contenuti pieni d’odio. E non sono solo ragazzini. Sono padri, madri, uomini, donne, gente comune che lordano il nome e il ricordo di un ragazzo che avrebbe potuto essere vostro fratello, vostro figlio, vostro amico. 

Una doverosa precisazione

 Va detto: questo non è un attacco ai romanisti nel suo insieme. Tanti, a partire da Daniele De Rossi fino ai Fedayn (storico gruppo di sinistra), hanno condannato pubblicamente il gesto e preso le distanze da quell’orrore. Gli stessi Fedayn che, circa due anni fa, hanno perso il proprio vessillo storico, vedendo dissolvere ogni potere all’interno di una curva che vira sempre più verso l’estremismo nero. Casualità? Forse.

 Oggi mi rivolgo a chi scrive quelle frasi, a chi commenta sui social, a chi posta immagini disgustose: cercate nel rantolo morente della vostra coscienza e osservate ciò che state facendo. La rivalità sportiva non è un pretesto per infangare brutalmente la memoria di un ragazzo. Così come pretendete rispetto per Antonio, noi pretendiamo rispetto per Ciro. Due ragazzi uniti dall’amore per il calcio, spezzati entrambi da un destino atroce. Ma non vedete tutta l’inutilità di quest’odio, di fronte ai visi splendidi e puliti dei nostri due fiori più belli?

 E infine, a chi minimizza, a chi si gira dall’altra parte, agli ignavi: sappiate che siete colpevoli allo stesso modo. E il sorriso di Ciro, quel sorriso pulito e innocente, non lascerà respiro nemmeno a voi.


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