header logo
Santo Romano
Santo Romano

Si può morire per una scarpa sporca? Oppure durante una rissa?

Sono queste le due domande che mi sono posta in questi giorni dopo la tragedia di Monreale nel palermitano e dopo la sentenza sull'omicidio di Santo Romano a San Sebastiano al Vesuvio nel napoletano.

Nel primo caso a perdere la vita in questa spirale di violenza sempre più atroce sono stati tre ragazzi: i cugini Andrea Miceli e Salvatore Turdo di 26 e 23 anni e Massimo Pirozzo sempre di 26 anni.

Ad essere stato fermato per strage, porto abusivo e detenzione illegale di arma da fuoco il 19enne palermitano Salvatore Calvaruso.

Nel secondo caso a perdere la vita la notte tra il 1 e il 2 novembre 2024 è stato il 19enne Santo Romano con l'unica “colpa” di aver sporcato un paio di scarpe.

Ad essere stato condannato a 18 anni e 8 mesi di carcere in questo caso è stato un 17enne di Barra.

Questi sono solo gli ultimi due episodi di una scia di sangue che negli ultimi anni si è amplificata sempre di più.

Quello che fa più male quando muoiono dei ragazzi così giovani è quando ad ucciderli sono dei ragazzi altrettanto giovani.

Santo Romano
Santo Romano (Napoli Network)

La sensazione che prevale è il senso di impotenza di non poter fare nulla per cambiare le persone in un contesto così delicato e brutto in cui le uniche cose che contano sono quella di farsi valere, mostrarsi e voler comandare che sia attraverso modi legali o attraverso la violenza.

Viene da chiedersi spesso Cosa avrei potuto fare per salvarli? Ma soprattutto dove sono le istituzioni?

Quelle istituzioni che dovrebbero aiutare le persone a farle sentire protette e al sicuro ma che invece provano a fare qualcosa solo quando ci sono le tragedie o per pura propaganda politica.

In queste situazioni in cui la criminalità è considerata l'unico modo per emergere e per farsi rispettare a pagare il prezzo più alto oltre ai ragazzi e le ragazze morti da innocenti sono le persone che provano ad esporsi e cambiare la mentalità della gente.

Lo sapeva bene Don Peppe Diana, parroco anti-camorra ucciso a nemmeno 36 anni nella sua chiesa con l'unica colpa di volersi ribellare a determinate politiche in un territorio come quello di Casal di Principe dilaniato dalla camorra.

Lo sapeva bene anche il giornalista Giancarlo Siani assassinato a 26 anni perchè in un articolo aveva osato dire che l'arresto del boss Valentino Gionta era stato usato come merce di scambio dal clan dei Nuovoletta per una tregua con i casalesi.

Lo sa bene anche Roberto Saviano che ieri in un reel pubblicato su Instagram ha messo in evidenza come a Napoli si può morire facilmente anche se non si appartiene a determinati contesti o famiglie ma solo perchè una persona si può trovare a interagire con persone che non sono quello che sembrano.


💬 Commenti (1)