Giuntoli e Spalletti: lasci Napoli e poi finisci per fallire
La Gazzetta bacchetta Cristiano Giuntoli e Luciano Spalletti

Giuntoli e Spalletti: lasci Napoli e poi finisci per fallire
La Gazzetta dello Sport ha analizzato i fallimenti recenti di Cristiano Giuntoli e Luciano Spalletti, rispettivamente direttore sportivo ed allenatore del terzo scudetto del Napoli.
Giuntoli e Spalletti: lasciare Napoli non ha giovato
Gazzetta: “Diceva Helenio Herrera — pensate con quanto anticipo — che il calcio moderno è velocità. «Gioca veloce, corri velocemente, smarcati con la stessa velocità». Non poteva sapere, il grande HH, che con la stessa velocità - nel calcio di oggi - anche situazioni più complesse possono portare a riletture più complesse, di fatti e avvenimenti di pochissimi anni prima. Tornate infatti a ventiquattro mesi fa. In un caldo pomeriggio di inizio giugno: a Napoli succedeva infatti l’impensabile. Appena vinto lo scudetto, Spalletti annunciava di aver chiuso l’avventura azzurra - vedete che l’azzurro torna sempre? - e di voler stare un anno fermo. Troppe tensioni, troppe incomprensioni e quella decisione - unilaterale, del presidente - di rinnovare il suo contratto. Parallelamente, con meno enfasi ma addirittura maggiore determinazione, Giuntoli chiedeva di potersene andare alla Juventus. «Non mi neghi questo sogno, perché io sono sempre stato tifoso bianconero». Per farla breve, De Laurentiis si ritrovò in una settimana con il terzo titolo, ma senza pilota e direttore sportivo. Costretto a reinventare velocemente - già, velocemente - il suo staff, tra i mugugni della piazza, per andare incontro a una stagione piena di contraddizioni. Senza neppure il tempo di godersi il suo trionfo.
Anche perché, opinione generale, se ne andavano gli artefici, i protagonisti, di un titolo che - senza di loro, si diceva - non sarebbe mai arrivato. Come in certi film d’autore, immaginate ora una dissolvenza e una scritta in primo piano: “Due Anni Dopo”. Una scena completamente ribaltata. Spalletti, per cui c’era stato anche uno strappo e la necessità di passare la palla agli avvocati, è costretto a interrompere il percorso con la Nazionale. Un esonero che, sia chiaro, non intacca il suo valore di Grande Allenatore, e va apprezzato anche il modo — senza quel veleno che accompagna tanti esoneri — con cui ha annunciato il suo addio. Molto peggio, in termini formali, è andata a Giuntoli, che doveva rappresentare il nuovo corso della Juve: un ricco ingaggio quinquennale e, soprattutto, carta bianca su tutti i fronti. Via dunque Allegri, con tanto di confronto pubblico dopo la finale contro l’Atalanta, via tutti i fedelissimi di Max, dentro Thiago Motta e la possibilità di spendere duecento milioni sul mercato. Roba che a raccontarla fa ancora una certa impressione. Fatto sta che anche lui ha dovuto salutare, accompagnato — al contrario di Spalletti — da due righe di comunicato.

Tutto questo che cosa vuol dire? Semplicemente, come dicevamo, che il calcio va ancora più velocemente di quanto sosteneva ai suoi tempi Helenio Herrera. E, quando si tratta di dispensare meriti e soprattutto critiche, bisognerebbe usare una cautela superiore. Perché Spalletti e Giuntoli sono e rimarranno sempre nella storia per aver conquistato il terzo titolo del Napoli, ma i successi, le vittorie, nascono sempre da un lavoro collettivo. E, come dice il maestro Sacchi, sono l’espressione della solidità, delle intuizioni, delle doti di una società. Capace di rinnovarsi e rigenerarsi.
Non è insomma la rivincita di Aurelio De Laurentiis, perché detta così può sembrare un fatto personale, ma è evidente che dietro al lavoro di ogni tecnico e di ogni dirigente — non fosse altro perché anche loro sono scelte — c’è sempre il lavoro e ci sono i meriti di chi deve fissare gli obiettivi e le strategie. Al punto, a distanza di due anni, di vincere un altro titolo — se non più bello, sicuramente più combattuto — che rappresenta anche un confine di carattere geografico. Perché nessuno, fuori dal triangolo Juve-Inter-Milan, era mai riuscito a bissare uno scudetto così velocemente. Già, velocemente. Il calcio moderno, ma forse la vita, è velocità. Ha ragione De Laurentiis, due anni dopo e fiero del suo capolavoro, perciò a guardarsi indietro. Vi ricordate che cosa si diceva?”