Lettera aperta (a cuore gonfio) ai calciatori del Napoli
Una ferita mai rimarginata, un ricordo che brucia da 27 anni: Parma è più di una partita, è il luogo dove il Napoli può finalmente riscattare la propria storia.

È il giorno di Parma - Napoli. Vorrei poter raccontare una storia ai calciatori che indossano il sacro azzurro, a quei ragazzi che stasera saranno chiamati a vincere al Tardini per tenere vivo, acceso e luminoso, un sogno che in queste settimane, per chi tifa, è una dolorosa agonia. Mi piacerebbe che conoscessero - magari qualcuno gliel’ha già raccontata in queste ore - l’umiliazione del 1998 che fu solo l’apice di un tormento gestionale che ci vedeva essere succursale della corazzata dei Ducali.
Sì, perché qualche lustro fa la realtà era del tutto ribaltata: il Napoli smantellato nel post Maradona annaspava in difficoltà indicibili, mentre il Parma volava, foraggiato dal danaro di una multinazionale che qualche anno dopo andò incontro alla vergogna del fallimento per una gestione dissoluta, tra aggiotaggio, bancarotta fraudolenta e altre pratiche fiscali licenziose. Ma in quel periodo l’ombra dell’amministrazione allegra e illecita non si allungava ancora sulla Parmalat che proliferava e estendeva i suoi tentacoli in molti ambiti produttivi e sportivi. Con ricadute sociali evidenti in quella congiuntura storica.
Negli anni, professionisti come Giambattista Pastorello - che poi acquisì il Verona che pure ebbe un ruolo nella serie di mortificazioni che il Napoli dovette subire (i più attenti ricorderanno il rigore causato da Benarrivo) in quei nefasti Anni ‘90 - usavano la nostra amata squadra come un campo rigoglioso da razziare. Cavallette indolenti che mangiavano, depredavano, saccheggiavano.
Per carità, si parla di operatori che facevano il loro mestiere, uomini d’impresa mossi dall’utilitarismo benthamiano e non dalle pulsioni della passione. Il cuore, si sa, non trova spazio nei fagocitanti ingranaggi del capitalismo, quel sistema economico che punta a massimizzare i profitti - che siano tecnici o finanziari - e dove i guadagni ad alto voltaggio la fanno da padrone schiacciando il romanticismo di chi vive di pulsioni sane.

Gianfranco Zola, Fabio e Paolo Cannavaro, Massimo Crippa lasciavano così Napoli per accasarsi nella produttiva e pingue Emilia dei grandi capitalisti familiari italiani. In cambio arrivavano soldi (pochi vista la caratura dei professionisti) necessari a sostentare una società calcistica in perenne crisi finanziaria.
Ma non solo, giungevano contropartite tecniche assurde come Reynald Pedros, Claudio Husain e altri “scarti di lavorazione” che non è necessario menzionare per non riaccendere ferite ancora pulsanti. Mestieranti che hanno indossato l’azzurro in maniera svogliata, ben consapevoli d’essere poco più che pedine di scambio per interessi finanziari più alti.
Parma - Napoli 1998: l’umiliazione del Tardini
11 Aprile 1998, 29^ giornata di un campionato a 18 squadre. La franchigia azzurra, con il 3-1 del Tardini, retrocesse matematicamente. Al termine di quella sciagurata stagione il bottino fu di soli 14 punti. Una miseria, come l’umore nero dei calciatori che, capo chino, uscirono dal rettangolo di gioco. Alcuni quasi indifferenti al disastro sportivo, altri feriti nell’orgoglio e devastati dall’onta di una bocciatura totale.
Pino Taglialatela percorse il prato in lacrime, un pianto che Fabio Cannavaro, con indosso la maglia degli avversari, non riuscì a placare. Le salate gocce che rigavano il volto scolpito di Batman erano quelle della tifoseria partenopea, quelle di una città che lasciava il calcio che conta in un cammino dolente che portò, dopo altre peripezie, al fallimento. Vergogna su vergogna, umiliazione su umiliazione.
I calciatori del Parma svolsero il proprio compito. Nessun carico morale pende sulle loro teste. Tuttavia quella sciagurata domenica è divenuta, nell’immaginario collettivo partenopeo, un simbolo. Una macchia indelebile, un buco nero in fondo all’angolo più recondito del cervello che mai, però, riesce a essere sanato o in qualche modo allontanato.
No, non v’è terapia psicologica che possa risollevarci. Ogni qualvolta si mette piede al Tardini quella specie di Behemoth che pachidermico sonnecchia latente nei nostri cervelli - un mostro declinato in una versione tremendamente spaventosa - si risveglia e viene a presentare il conto della sua voracità.

Quella bestia feroce deve essere sconfitta una volta e per tutte. Parma può essere la nostra liberazione definitiva, anche se rischia di trasformarsi nell’incubo più nero che renderebbe insonni le notti e fastidiose le attività quotidiane di tutti noi. Chi scende in campo deve sapere quale creatura orrenda ci accompagna da 27 anni ammorbandoci senza che nessuno di noi l’abbia invitata a incunearsi nel nostro Io più profondo.
Permetteteci di affrancarci da quel lacerante passato. Per spirito di rivalsa? Probabilmente sì. Per una vendetta sportiva? Forse. Di certo, espugnare la città di Giuseppe Verdi chiuderebbe il cerchio: dalla profonda onta ci proietteremmo alla definitiva consacrazione. Un riscatto lungo oltre cinque lustri. Anni in cui siamo stati cenere dall’odore acre e penetrante che oggi pretende di trasformarsi in abbacinante polvere di stelle.