“Aurelio De Laurentiis pretese anche l’aggiunta di una penale da pagare qualora fossi andato ad allenare un’altra squadra (…).
Qualcuno mi fece notare che il motivo per il quale desiderava inserire quella clausola era il timore che potessi raggiungere Giuntoli alla Juventus. Fosse vero, sarebbe l’ennesima dimostrazione che aveva capito poco dell’uomo con cui aveva a che fare”
Dal libro di Luciano Spalletti “Il paradiso esiste… ma quanta fatica”.
Un Genio a Torino
Luciano Spalletti è il nuovo allenatore della Juventus. Con due anni di ritardo.
Due anni dove ha visto scivolare il suo nome quasi in fondo, in modo del tutto immeritato.
Perché Spalletti, per chi scrive ma non solo, è un genio assoluto del calcio.
Un innovatore, almeno 10 anni avanti agli altri e precursore di nuove complicazioni del calcio.
Ha fatto bene la Juventus a puntare su di lui. Lui ha fatto bene ad accettare la Juventus.
L’inciso è d’obbligo, per quel che verrà.
Il problema non è Spalletti
Perché il problema non è il tecnico di Certaldo, ma quello che è riuscito a far credere a Napoli tutta, addirittura ai vertici del comune.
Dal popolo alle istituzioni. Un genio, anche in questo. Un manuale di comunicazione da far rabbrividire i veri maestri.
E Napoli, come sempre, gli ha creduto.
Non ha mai perso occasione Spalletti per rinfacciare i momenti passati in quel di Castelvolturno, rivolti sempre e solo al nemico comune: Aurelio De Laurentiis.
Che, per amor di cronaca, con lui ha sbagliato qualche colpo.
Perché è oggettiva la mancanza di valorizzazione per l’enorme lavoro che l’ormai neo juventino ha fatto in terra napoletana.
O meglio dire nella sua azienda.
Il disegno e la delusione
A meno che il presidente non avesse già annusato, già capito, già previsto qualcosa.
Come con il suo ormai “compagno di merende” (espressione ritornata alla ribalta grazie alla serie di Stefano Sollima su Netflix) Cristiano Giuntoli.
Il disegno era chiaro: a Torino, sempre bravi a scimmiottare il lavoro altrui (vedi Maurizio Sarri, 12 mesi dopo l’inchino alle curve), volevano portare la politica del Napoli sotto la Mole.
I prescelti furono Giuntoli e Spalletti. Con ogni probabilità pure Kvicha Kvaratskhelia.
Solo che per il georgiano ci volevano tanti milioni, troppi per le disastrate casse bianconere.
Chissà cosa intendeva Mamuka Jugeli, procuratore del talento del PSG, quando parlò chiaramente di “accordi non rispettati”.
Ma con chi? Ve lo sveliamo noi: con l’ex DS volato a Torino e poi cacciato.
Spalletti invece, dal suo punto di vista, subì il torto: la PEC.
Fu costretto ad accettare la Nazionale Italiana che si liberò in fretta e furia di Roberto Mancini.
Quanti sotterfugi, quante chiacchiere inutili, quanti magheggi e quante parole al vento.
Soprattutto quelle, da parte di Spalletti, appena ne aveva l’occasione.
Ad ogni piè sospinto ribadiva le stesse cose, tanto da divenire stucchevole.
Un genio del calcio che ha fatto di continuo autogol per la sua strana voglia di sentirsi al centro del mondo.
Fino al giuramento dell’amore eterno, quando nessuno, ripetiamo nessuno, glielo aveva chiesto.
Oggi quelle parole sono francamente surreali.
La città, per l’ennesima volta, ne esce a pezzi avendo giurato fedeltà ad un uomo che ha parlato di valori senza rispettarli.
Di nuovo, dopo Gonzalo Higuaín e Sarri e non andiamo indietro nel tempo per non sparare sulla croce rossa. Non è esercizio che ci affascina.
Ancora una volta, la città ha sbagliato a scegliere l’eroe a discapito del nemico.
Perché Napoli è l’unica città al mondo, in tempo di pace, ad avere un nemico sempre presente e gli eroi assenti.
Che perculano e parlano da politici da mille promesse.
Puntualmente disattese.






