In terra olandese il fu Napoli di Antonio Conte viene letteralmente annientato dal PSV, che effettivamente sembrava il PSG in un improbabile ed improvvisato gioco di consonanti.
Da più parti si sentono attacchi al singolo, sempre per quella brutta, bruttissima, abitudine di prendersela col più “debole”.
Oggi tocca a Lorenzo Lucca, la cui unica colpa è il costo del suo cartellino ed il fatto che sia stato scelto per salvaguardare Romelu Lukaku e la sua indiscussa titolarità (sic). Come al tempo fu Alex Meret, che se ieri sera fosse stato titolare avrebbe dovuto fare le valigie e trasferirsi a Lugano. Oppure il sempre valido Juan Jesus e così via.
Sempre dal lato sbagliato della storia. Chi incolpa i singoli, chi ne fa una questione di tattica, di schemi, di esterni francamente ci ha capito poco.
Il calcio è uno sport anche, se non soprattutto, mentale. Quella mente portata alla massima lucidità che ti permette di fare sempre la scelta giusta, chiunque sia il tuo compagno. Certo, si potrebbe in tutto questo tranquillamente dire che il Napoli è una delle pochissime squadre in ambito europeo a giocare senza esterno d’attacco. Tant’è. Scelte tecniche, ribadiamo, sono da cornice.
Mentalità e gestione post-scudetto
Il Napoli ha commesso un grande errore, il secondo dopo lo scudetto spallettiano, ma di natura differente. È come se avesse imparato dai suoi errori ma ne ha commessi di diversi.
Ha affidato 200 milioni di euro ad un dipendente pro tempore. Un grande allenatore di campo, o meglio un grande allenatore della sua comfort zone, che è di passaggio. Ed il passaggio è breve, non per intenderci l’Arsene Wenger o l’Alex Ferguson di turno.
Una media età così alta da far rabbrividire pure chi ha sempre avuto squadre vecchie, in nettissima controtendenza con la storia napoletana ed il motivo cardine per cui sono arrivati due scudetti.
Al di là del risultato finale, il Napoli ha speso in due sessioni la bellezza di 350 milioni di euro per una rosa mediamente vecchia. Come se i soldi crescessero sugli alberi o le banconote cadessero dal cielo.
Chi nega ancora questo aspetto, decisivo nel calcio moderno dove il club di calcio è azienda, è lo stesso che ha ridotto tutto al risultato finale, come quando le gare non si vedevano in TV e si accendeva il Televideo alle pagine 202 e 203 per vedere risultati e classifiche.
Capacità di analisi pari a zero.
Una juventinità non transitoria, ma insita di bonipertiana memoria. Napoli si è risvegliata nell’era Conte e si è scoperta amante del “vincere non è importante, ma è l’unica cosa che conta”.
Il ruolo di Conte: da favorito a underdog
Ma la colpa non è di Conte. Lui ha avuto carta bianca. Ha visto che il Napoli era più sano della Juventus, era avanti, nettamente. È stato pregato per restare e ha avuto in mano 200 milioni.
Aurelio De Laurentiis, da “innamorato”, glielo ha consentito ed è lapalissiano, quindi, che l’errore è suo.
Perché le voci che arrivano da “dentro”, cioè quelle che ormai denuncia Conte nelle conferenze stampa che somigliano più ad un pianto greco che ad una effettiva seria comunicazione, lasciano intendere che i calciatori arrivati a suon di milioni non siano mentalmente pronti. Anzi, siano umanamente lontani da Napoli. Vedremo in futuro se le sensazioni sono reali o no.
C’è un altro dato importante. Che nessuno sottolinea. Questa è una situazione nuova anche per Conte. È successo solo una volta, nella sua carriera, di partire da campione in carica e favorito e fare le tre competizioni classiche, al secondo anno con la Juventus, dove aveva una squadra tremendamente migliore delle altre.
Il tecnico salentino si trova in una posizione diversa, per lui mai provata. Essere favorito, non poter urlare ai quattro venti il decimo posto dell’anno prima.
Ed ecco che escono fuori dichiarazioni al limite del ridicolo, come ad esempio: “abbiamo speso 150 milioni per 9 giocatori e quindi costano 15 milioni a testa” per poi saltare a “9 acquisti sono troppi”.
Il primo che deve capire la condizione è lui, anche se nuova. Viene lautamente pagato per questo. Si ha la sensazione che stia facendo di tutto per passare da favorito ad underdog, per poter urlare al solito miracolo a fine anno.
Non esistono miracoli, nella storia del calcio si contano sulle dita di una sola mano. Evidente.
Esiste la condizione specifica. Ed è quella di favorito. Ciò non vuol dire vincere per forza, stia tranquillo Conte. Napoli non è così stupida da rinfacciare qualcosa se ci sarà un’altra squadra che farà cose importanti.
Trovi la quadra al più presto. Per farlo, però, deve liberarsi dei suoi fantasmi. Fantasmi che nello sport, nel calcio, nel limbo non trovano pace.






